Missioni Consolata - Dicembre 2014
MC ARTICOLI # Qui a fianco : Roberto Rolli al lavoro. # A sinistra : Il dottor Tibaldi con il giornalista scientifico Robert Whitaker e la copertina dell’ultimo libro di Whitaker. sta ma per me erano reali, e in qualche modo mi tenevano com- pagnia. Con il passare del tempo però perdevo sempre più il con- tatto con la realtà, arrivando a se- pararmi da mio marito e da mio fi- glio 13enne, e a restare disoccu- pata» racconta Lia, a cui verrà poi diagnosticata una schizofrenia pa- ranoide. «Mi sentivo persegui- tata, ero convinta che tutti ce l’a- vessero con me, nei miei deliri e allucinazioni mi vedevo rapita, stuprata, lasciata senza cibo…». A un certo punto Lia si convince di essere la principessa russa Ana- stasia e, rimasta senza lavoro, non ne cerca un altro perché crede che presto potrà riavere la sua identità e le sue ricchezze. Inoltre non paga e non ritira più le bol- lette, persuasa che nella cassetta postale ci sia una bomba pronta a esploderle in mano. Vedendo ovunque nemici e ingiustizie, Lia presenta alla Procura ben 160 esposti, per cui il tribunale di To- rino decide di affidare il suo caso allo psichiatra Giuseppe Tibaldi. «In un certo senso è da lì che è partita la mia “storia di guari- gione”» racconta Lia. «Il giorno dello sfratto (perché non pagavo l’affitto), è arrivato Tibaldi propo- nendomi un ricovero in ospedale. Sono scappata e lui mi ha inse- guita per la città ma sono riuscita a seminarlo. Fatica sprecata, per- ché l’indomani lui e due carabi- nieri mi hanno ritrovata e co- stretta al Tso» (Trattamento sani- tario obbligatorio, che prevede il ricovero coatto in repartino psi- chiatrico, nda ). Sono iniziate così le cure farmacologiche, seguite da un lungo ricovero in comunità psi- chiatrica e da una psicoterapia durata 10 anni. «Nel 2002, d’ac- cordo con il medico, ho smesso di prendere i farmaci, e nel 2009 ho terminato anche la psicoterapia. Adesso non sento più le voci e mi sono liberata completamente dai miei deliri. Un fattore importante è stato esaminare ed elaborare dentro di me il rapporto irrisolto con mia madre, e in seguito le dif- ficoltà di relazione con mio marito e una mia sorella». L’illusione del clinico Oggi Lia conduce una vita nor- male, è tornata con il marito e fa volontariato come facilitatrice in un gruppo di auto mutuo aiuto. Inoltre scrive e partecipa a conve- gni per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla possibilità di supe- ramento della malattia mentale. Qualche anno fa ha anche pubbli- cato la sua autobiografia su sti- molo del dottor Tibaldi, impe- gnato dal 2002 nel raccogliere le «Storie di guarigione»: questo il titolo del concorso letterario da lui promosso, che dal 2008 a oggi ha raccolto quasi un migliaio di te- stimonianze da tutta Italia (vedi box). Ma perché questa ostinazione nel collezionare i casi riusciti? «Ci ho messo un po’ ma, a un certo punto del mio percorso professio- nale, ho capito che considerare i pazienti psichiatrici come persone senza scampo è un grave errore, da combattere con ogni mezzo» spiega Tibaldi, che coordina il Centro Studi e Ricerche in Psichia- tria dell’Asl To2 di Torino. «Gli studi scientifici più accreditati de- gli ultimi 20 anni dimostrano in- fatti che le percentuali di guari- gione nei pazienti psicotici supe- rano il 50% dei casi; anche se per arrivarci possono occorrere di- versi anni». Dove nasce allora l’idea che la fol- lia sia un «carcere a vita»? «I mo- tivi sono diversi» spiega Tibaldi, «uno di questi è il pessimismo prognostico, cioè l’atteggiamento che si forma tra psichiatri e opera- tori lavorando nei «repartini»: qui i malati arrivano nel momento dell’acuzie, quando sono più scompensati, spesso in regime di Tso. I clinici hanno continuamente sotto gli occhi i malati vittime di ricadute o cronici, e tendono a estendere questa percezione a tutti i pazienti con un disturbo psi- chiatrico: l’illusione del clinico - smentita dalle evidenze scientifi- che - è perciò che tutti i pazienti psichiatrici restino tali a vita. Mentre le persone come Lia, rico- verate solo una volta o due, spari- scono dalla vista dei servizi e ven- gono dimenticate in fretta». «L’il- lusione del clinico» è così radicata che, quando sentono di schizofre- nici guariti, molti operatori repli- cano contestando la diagnosi: «Se è guarito, vuol dire che non era davvero schizofrenico». Sostenere la guaribilità della ma- lattia mentale, precisa Tibaldi, DICEMBRE 2014 MC 17 © Stefania Garini
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