Missioni Consolata - Novembre 2014
cidenti, violenza. La morte è un fatto natu- rale e Dio non va mai con- tro le leggi della natura che lui ha fatto. Davvero i- nutile arrabbiarsi con Lui. Perché allora diciamo «Dio chiama»? Chiara- mente questo è un lin- guaggio simbolico com- prensibile per chi ha fede. Nella fede l’evento natu- rale della morte diventa segno della chiamata di Dio. I detti e le parabole di Gesù sono pieni di questi simbolismi. Ma non solo. È solo Gesù, il figlio di Dio costretto a un’orribile e ingiusta fine, che ci ha fat- to capire come la morte non significhi «fine», ma «inizio, nascita». Quella che noi viviamo qui non è tutta la vita, è solo la pre- parazione, quasi una ge- stazione alla Vita. Non sia- mo fatti per finire e consu- marci in questo tempo e in questo spazio, il nostro io più profondo chiama l’infi- nito. Siamo fatti per «di- ventare dei»! Il nostro Dna vero è quello di essere «immagine/icona» di Dio, non polvere che sparisce nel nulla. Allora, se quella dopo il trapasso è davvero la Vita, non abbiamo ragioni per temere la morte. S. Paolo scriveva che per lui «vive- re è Cristo e morire (è) un guadagno» (Fil 1,21) e sol- tanto l’amore per «coloro che aveva generato» alla fede con tanta fatica gli rendeva sopportabile l’i- dea di dover ancora atten- dere prima di riuscire a conquistare Colui che si e- ra impadronito di lui (cfr. Fil 3,12) sulla strada di Damasco. «Per Paolo co- me per ciascuno di noi la vita si può vivere solo dove vive Colui di cui si è inna- morati. Per i cristiani, sul- l’esempio di San Paolo de- siderare la morte non solo è lecito, ma anche segno di maturità nella fede, dal momento che la morte è l’ingresso nella visione di Dio faccia a faccia. Se i cri- stiani fossero coerenti do- vrebbero correre verso la morte, che dopo la risur- rezione di Gesù, ha perso il suo pungiglione di paura e di terrore (cfr. 1Cor 15,55-56) per diventare quello che dovrebbe esse- re: la pienezza della vita» (P. Farinella). EBOLA Caro don Gigi, vorrei condividere con lei, sempre così attento a tutto ciò che succede nel Sud del mondo, un pro- blema che mi angustia: il dramma dell’ebola e le conseguenze che po- trebbero arrivare anche a noi, attraverso le mi- grazioni, purtroppo inar- restabili, o, almeno, inar- restabili sino a quando non si interviene in qual- che modo nei luoghi di partenza. Ora, io seguo da sempre il dramma di quelle popolazioni, an- che con un coinvolgi- mento indiretto (sono o- peratrice del Commercio Equo e Solidale e socia dell’Accri, ong di coope- razione internazionale: tanto per farle capire co- me tutto questo sia per me motivo di «sofferen- za» e non di «insofferen- za»). In breve, mi sembra più che giusto, soprattut- to come cristiana impe- gnata, condividere i pro- blemi dei popoli impove- riti, ma condividere anche l’ebola, va al di là della mia capacità di ac- coglienza: eppure temo che presto o tardi con questo dramma dovremo confrontarci: e allora? Già la tubercolosi, da tempo debellata, è tor- nata a preoccupare le strutture sanitarie, as- sieme ad altre malattie frutto della promiscuità, dell’assenza di precau- zioni igienicosanitarie, e così via: lei che ne pen- sa? So bene che tante malattie sin dall’inizio del periodo coloniale le abbiamo portate noi, giungendo sino a stermi- nare gran parte, ad e- sempio, delle popolazio- ni indigene del continen- te americano, ma non mi 6 MC NOVEMBRE 2014 redazione@rivistamissioniconsolata.it mcredazioneweb@gmail.com sembra una ragione suf- ficiente... Aspetto con an- sia una sua risposta, e cordialmente la saluto, congratulandomi ancora per la validità della vo- stra-nostra rivista. Silva Duda Trieste, 25/6/2014 Con Silva ci siamo già scambiati delle email a proposito dell’ebola. È grazie al suo stimolo che in questo numero trovate un breve dossier sul quale i nostri redattori hanno la- vorato sodo. L’ebola è una malattia che fa paura per- ché sfida la nostra illusio- ne di onnipotenza e ci fa sentire fragili. Eppure c’è chi ci specula sopra, pre- gustando i possibili lauti guadagni. È nel 1976 che i primi 280 morti in Congo RD hanno fatto notizia. Come è possibile che oggi ci si trovi così imprepara- ti? È forse perché non era ancora un affare abba- stanza remunerativo? E tutto quel diffondere noti- zie allarmanti, è davvero segno di interesse per i malati o è un altro modo per far pressione e tra- sformare il tutto in un grande business? Quel che è triste è costa- tare che ci sono due aree che permettono a chi è senza scrupoli di fare sol- di a palate sulla pelle de- gli altri: le guerre e le ma- lattie. E guarda caso, in questo nostro mondo non più controllato dalla politi- ca ma da una finanza sen- za freni, le guerre prospe- rano più che mai muoven- do fiumi di denaro. Per restare alla sua do- manda sul «condividere # Sr. Floralba Rondi, sr. Clarangela Ghilardi, sr. Danielangela Sorti, sr. Dinarosa Belleri, sr. Annelvira Ossoli e sr. Vitarosa Zorza, delle Suore Poverelle di Bergamo, morte tra il 25 aprile e il 28 maggio 1995 con altre 218 persone a causa della terribile epidemia di ebola, esplosa nell’allora Zaire, attuale Repubblica Democratica del Congo, in una cittadina della Regione del Bandundu, Kikwit. http://www.istitutopalazzolo.it/site/?page id=281
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