Missioni Consolata - Ottobre 2014

64 MC OTTOBRE 2014 Come reagisti? Gli mostrai una foto di padre Octavio Ortiz, sacerdote che i paramilitari degli squadroni della morte avevano ucciso qualche mese prima assieme ad altri giovani. Nella foto si riconoscevano chiaramente i tratti indigeni del volto tumefatto e ferito da un colpo di machete . Cono- scevo molto bene padre Octavio e dissi al Papa che il giorno in cui era stato ucciso stava dando un corso sul Vangelo ai ragazzi del quartiere. E Giovanni Paolo II? Restò in silenzio e quando gli dissi che lo avevano ucciso infierendo su di lui sostenendo che era un guerrigliero, il Papa disse: «E per caso non lo era?». Mi resi conto in quel momento che difficilmente Giovanni Paolo II avrebbe capito la drammatica realtà del Salvador. Per lui che aveva passato tutta la vita sotto il nazismo e il comu- nismo, era difficile percepire la violenta realtà delle ditta- ture militari latinoamericane. Mi disse: «Lei, signor arci- vescovo, deve sforzarsi di avere una relazione migliore con il governo del suo paese, un’armonia tra lei e il go- verno salvadoregno sarebbe la cosa più cristiana in que- sti momenti di crisi». A queste parole capii che sarebbe stato inutile continuare il colloquio, lo invitai a visitare il Salvador. Forse sul posto avrebbe preso coscienza di come stavano realmente le cose. Tornato nella tua terra portasti avanti ugualmente la tua opera di denuncia? Ritenevo quel compito una missione fondamentale per me e per la Chiesa di cui ero il pastore. Sapevo benissimo che la mia vita era in pericolo; le minacce di morte arriva- vano ormai neanche tanto velatamente, ma io ripetevo: «Se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno». Una volta gridai all’esercito e alla polizia: «Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!». Un’altra volta, rivolgendomi ai soldati: «In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: non uccidete! Gettate le armi». Praticamente con queste frasi, con le tue omelie e con la caparbietà con cui difendevi il popolo, firma- sti la tua condanna a morte. Il 24 marzo 1980 mentre celebravo la messa nella cap- pella dell’ospedale della Divina Provvidenza, dopo aver denunciato nell’omelia che il governo di El Salvador ag- giornava le mappe dei campi minati mandando avanti dei bambini che restavano squarciati dalle esplosioni, un sicario, su mandato del maggiore Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore Arena ( Alianza Republicana Nacionalista ), sparò un solo colpo di pistola proprio nel momento della consacrazione men- tre stavo elevando il Corpo di Cristo, ponendo fine alla mia vita terrena spalancandomi così le porte del Regno dei Cieli. Dal giorno della sua morte mons. Oscar Romero è già considerato santo dal popolo salvadoregno e dalla gente latinoamericana. La Conferenza episcopale del Salvador ha ufficialmente aperto nel 1997 la causa di beatificazione. La sua morte così violenta, avvenuta mentre celebrava il sacrificio eucaristico, ne fa un mar- tire e una figura di pastore modello per tutti coloro che hanno il compito di guidare il popolo di Dio. Il 6 marzo 1983, Giovanni Paolo II visitando il piccolo paese cen- troamericano, nella cattedrale di San Salvador, rese omaggio a mons. Romero inginocchiandosi e rima- nendo a lungo in preghiera, ignorando le pressioni del governo salvadoregno a non recarsi sulla sua tomba. don Mario Bandera, Missio Novara Poi ci fu la nomina, nel febbraio del 1977, ad arcive- scovo di San Salvador. Un mese dopo la mia nomina, esattamente il 12 marzo, venne assassinato il gesuita padre Rutilio Grande, un amico di vecchia data. Padre Rutilio insieme ad altri con- fratelli collaborava attivamente alla creazione di gruppi di auto-aiuto tra la gente dei campi affinché prendessero coscienza della loro situazione di sfruttamento, si orga- nizzassero e richiedessero il rispetto della giustizia, se- condo l’insegnamento sociale della Chiesa, e dei diritti umani, sistematicamente violati dai latifondisti. Questo integerrimo sacerdote era quindi visto come un perico- loso sovversivo. Di fronte alla morte violenta di un amico impegnato per la causa del Vangelo e per la difesa dei poveri, che reazione ebbe un vescovo come te giudicato pio e conservatore, più uomo di studio che di azione? Passai l’intera notte vegliando la salma di padre Rutilio in ginocchio davanti alla sua bara. Lì compresi chiaramente che un vescovo non può star zitto di fronte alle ingiusti- zie che vengono commesse. Un detto latinoamericano dice: Cuando un cristiano calla es Dios que se vuelve mudo (Quando un cristiano tace è Dio che diventa muto). Il tacere del vescovo di fronte alle ingiustizie non è se- condo l’insegnamento evangelico, in quanto, proprio nella Parola di Dio sta scritto che il pastore dà la vita per le proprie pecore! Pertanto il mio silenzio equivaleva a far diventare muto Cristo Gesù, che di fronte a quello stato di cose certamente si sarebbe ribellato. Cosa facesti allora? Di fronte all’ignavia e alla passività del governo cominciai nelle mie omelie a denunciare la situazione di sfrutta- mento esistente in Salvador da parte dei latifondisti, so- stenuti a loro volta da un apparato poliziesco e militare che difendeva solo gli interessi dei ricchi e delle multina- zionali. Le mie denunce divennero sempre più precise e circostanziate e la conoscenza dei fatti si diffondeva in un ambiente sempre più vasto attraverso la radio e i gior- nali. Questo mio modo di fare, portò la Chiesa salvadore- gna a pagare un pesante tributo di sangue. L’esercito, guidato dal partito al potere, si accanì sempre di più arri- vando a profanare e occupare le chiese, come ad Aguila- res, dove vennero uccisi più di duecento fedeli. Fu così che la tua azione di denuncia e la tua attività in favore degli oppressi cominciarono a essere cono- sciute in tutto il mondo? Grazie ai mass media, il piccolo stato di El Salvador, che stava vivendo un calvario di dolore e sofferenza, si im- pose all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, in modo particolare nella coscienza dei cristiani e nella realtà ecclesiale. La conseguenza fu che mi diedero dei ri- conoscimenti internazionali, come quello dell’Università di Lovanio del Belgio, che nel febbraio del 1980 mi con- ferì la laurea honoris causa per l’impegno in difesa e a fa- vore della liberazione dei poveri. Fu durante il viaggio che facesti in Europa per riti- rare questo riconoscimento che ti spinsi fino a Roma per incontrare Giovanni Paolo II? Si, ricordo che quell’incontro fu difficile per entrambi. Perché? Portai al Papa un voluminoso rapporto di tutto quanto succedeva nel Salvador, ma il Papa non toccò un foglio, né aprì un fascicolo. 4 chiacchiere con...

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