Missioni Consolata - Ottobre 2014

OTTOBRE 2014 MC 63 a cura di Mario Bandera 4 chiacchiere con... 25. MONSEÑOR OSCAR ROMERO Oscar Arnulfo Romero y Galdamez, arcivescovo della capitale di El Salvador, è una delle figure epi- scopali più luminose del XX secolo: pastore e guida del suo popolo in anni difficili, difensore degli oppressi ed emarginati, voce di denuncia profetica delle ingiustizie e violenze perpetrate contro la sua gente. La data del suo martirio, il 24 marzo 1980, è stata scelta dalla grande famiglia missiona- ria come data simbolo per ricordare tutti i missionari, sacerdoti, religiosi, suore e volontari laici, martiri dei nostri giorni, che offrono la loro vita per il Vangelo e per la difesa dei Diritti dell’Uomo e in modo particolare dei più deboli. Puoi parlarci della tua vita? Sono nato in una famiglia modesta il 15 marzo 1917 a Ciudad Barrios di San Mi- guel, nel piccolo stato centroamericano di El Salvador, il più piccolo dei paesi americani, definito simpaticamente «Pollicino». Ero il secondo di otto fra- telli. Mio padre Santos lavorava alle Po- ste con funzioni di telegrafista, mentre mia madre, Guadalupe de Jesus, era ca- salinga e, con noi che le giravamo sem- pre attorno, aveva il suo da fare. Quindi tu provieni dalla classe me- dio bassa, da un mondo familiare che non aveva grandi risorse? All’età di dodici anni, per aiutare eco- nomicamente in casa, andai a lavorare come apprendista nella bottega di un falegname della mia città, e anche quando in seguito andai in seminario, dovetti per un periodo interrompere gli studi per aiutare la mia famiglia che vi- veva un momento di crisi andando a lavorare come mi- natore nelle miniere d’oro di Potosì. Quando sei entrato in seminario? Fin da ragazzo sentivo l’irresistibile fascino di Gesù, e il contesto familiare in cui vivevo mi aiutava molto: i miei erano dei cristiani ferventi che vivevano la vita di fede con molta convinzione. Nel 1931, all’età di 14 anni, en- trai nel seminario minore di San Miguel, dove restai per sei anni. Dopo l’esperienza in miniera nel 1937, ripresi gli studi nel seminario maggiore del mio paese, retto dai Gesuiti. I su- periori poi, decisero di mandarmi a Roma per farmi pro- seguire gli studi di teologia. Mentre mi trovavo nella città eterna, in piena seconda guerra mondiale, il 4 aprile 1942, venni ordinato sacerdote. Si può dire che i tuoi primi passi come prete non fu- rono facili: ti trovavi in una nazione in guerra, lon- tano dalla tua terra e dalla tua famiglia, sia pure con la protezione che la Santa Sede dava agli stu- denti di teologia che studiavano a Roma. È vero, purtroppo la guerra diventava ogni giorno più cruenta coinvolgendo in una spirale di violenza inaudita la popolazione italiana, questo mi spinse a ritornare in patria dopo aver conseguito la licenza in Teologia presso l’Università Gregoriana. Una volta tornato in El Salvador qual è stato il tuo primo incarico pastorale? Venni mandato come sacerdote nella parrocchia di Anamoros, successiva- mente a San Miguel dove restai per vent’anni come parroco. Nel frat- tempo venni nominato direttore della rivista ecclesiale Chaparrastique (che prendeva il nome dal vulcano che sorge vicino alla città di San Mi- guel) e, subito dopo, rettore del se- minario interdiocesano di San Salva- dor. Non c’è che dire, incarichi sempre più esigenti e pieni di responsabi- lità ... Un cammino che con il tempo mi portò a essere nomi- nato segretario della Conferenza episcopale di El Salva- dor. Finché nel 1970, inaspettatamente, venni nominato da Papa Paolo VI, vescovo ausiliare di mons. Luis Chavez y Gonzales, arcivescovo di San Salvador. La tua nomina fu vista di buon occhio dalle oligar- chie che controllavano il paese? Ero considerato un sacerdote pio e conservatore, più de- dito agli studi che alle questioni sociali e politiche e quindi non mi vedevano come un vescovo in grado di ostacolare il malaffare e le violenze imperanti nella vita pubblica del Salvador. Però non tardasti molto a renderti conto di quello che succedeva nel tuo paese. Nel 1974 venni nominato vescovo della diocesi di San- tiago de Maria, dove nel giugno del 1975 la Guardia Na- cional uccise cinque persone in uno scontro con i conta- dini che reclamavano giustizia per le dure condizioni di lavoro a cui erano sottoposti. Feci visita a tutte le fami- glie delle vittime per portare vicinanza e consolazione e celebrai una messa in suffragio delle vittime. Non feci una denuncia pubblica di quanto era successo, inviai però una dura lettera di protesta al capo dello stato.

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