Missioni Consolata - Ottobre 2014

46 MC OTTOBRE 2014 l’inchiesta sulla Tav era preceduta da un articolo sulla campagna «Nos Existimos», organizzata dai Missionari della Consolata a Roraima, Brasile, in favore della demarcazione del territorio indigeno di Raposa Terra do Sol. Su questo tema non si ebbe nessuna eco, mentre su un identico pro- blema di territorio a 50 chilometri dalla sede della rivista gli argomenti diventavano immediata- mente più caldi. Qui si arriva a un altro punto, che a me pare es- sere cruciale: a volte in buona fede, a volte per ti- more, si tende a considerare le istanze di Gpic come aliene dalla nostra missione. Qui si capisce molto bene il paradosso e la schizofrenia in cui so- vente viviamo. Ci nutriamo di una parola di Dio che ci spinge a essere custodi del nostro fratello e dell’ambiente in cui siamo inseriti, mettiamo nelle nostre agende e nei nostri statuti l’istanza di Gpic come parte integrante del nostro ad gentes , ma quando si tratta di prendere delle posizioni speci- fiche in materia diamo sovente il via a tutta una serie di bizantinismi atti a difendere la pax comu- nitaria. Parlare di ambiente, e in generale di «giustizia e pace» vuol dire mettersi in sintonia con il sogno di Dio, di un mondo migliore, di un recupero dell’ar- monia perduta… occorre saper guardare avanti. Le madri dei bimbi che vivono, crescono e stu- diano oggi nella Terra dei fuochi, in Campania e che sono state ricevute di recente al Quirinale, in- sieme a don Maurizio Patriciello, parroco di Cai- vano (Na), sono l’emblema della gente che è obbli- gata a lottare oggi pensando alla generazione fu- tura, a figli che non devono crescere con l’immon- dizia sotto il tappeto, con i rifiuti tossici a fare da condimento, ai prodotti agricoli che vengono colti- vati in quella che sarebbe una delle aree agricole più produttive del mezzogiorno italiano. Per noi missionari, al contrario, non è così facile avere la stessa luce se le spesse mura dei nostri conventi ci impediscono di guardare fuori. Un piccolo gesto per un grande cambiamento La parabola di Elzéard Bouffier racconta la storia di un vecchio capace di guardare avanti, pronto a proiettare, giorno dopo giorno, la sua idea di mondo con il semplice gesto del seppellire una ghianda. Grazie a lui le montagne si popolano di verde. Il breve racconto di Giono parla di un’im- presa folle, ma non impossibile, e in questa possi- bilità, nascosta ma non da escludere, sta la bel- lezza di questa storia. In effetti, Elzéard Bouffier potrebbe essere ciascuno di noi. Anzi, in molti po- sti del mondo, seguendo il consiglio del Beato Al- lamano che diceva ai suoi missionari di «elevare l’ambiente», siamo stati così anche noi, lavorando giorno dopo giorno affinché vi fosse armonia fra la natura e le comunità che via via si stavano fon- dando e poi formando, pronti a reagire quando lo- giche perverse si frapponevano a questo desiderio di pace fra cosmo e umanità. Penso ad alcuni pic- coli progetti di riconversione delle coltivazioni su prodotti tradizionali, per opporsi alla monocol- tura violenta della coca e alle logiche delinquen- ziali che sempre la ispirano. «Quando penso che un uomo solo, ridotto alle pro- prie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia am- mirevole», scrive Giono del vecchio pastore pro- venzale. È vero, oggi in Europa, alla luce della sto- ria della nostra presenza missionaria, sembra es- sere diventato più difficile «lasciare il segno», ma ogni tentativo, ogni accenno di lotta per fare avan- zare l’umanità anche solo di un passo vale sempre la pena di essere vissuto e può essere il nostro pic- colo contributo di «custodi» del creato al bene di tutti. Ugo Pozzoli © Gigi Anataloni

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