Missioni Consolata - Ottobre 2014

gliendo spazio al male. Oggi, usando un termine a noi più familiare, potremmo dire che l’Allamano consigliava la pratica del discernimento : mettersi davanti a Gesù e chiedersi come lui si sarebbe com- portato in una determinata situazione, arricchendo così la lettura della realtà con quell’abbandono nella fede che dovrebbe guidare ogni azione del buon cristiano. Dopodiché, una volta identificato il come agire, buttarsi a capofitto , «come se quell’a- zione fosse l’ultima della vostra vita», affinché la mancanza di determinazione o di energia non debba successivamente penalizzare i buoni effetti del nostro fare il bene. Si capisce che per Giuseppe Allamano «fare il bene bene» significa soprattutto «essere bene». Formarsi al bene permette di dare agli altri ciò che si è, con naturalezza, spontaneità, competenza… amore. Es- sere bene vuole anche dire volere il bene dell’altro in quanto altro, escludendo o non considerando i benefici, le grazie, i favori che ne potrei conseguire come agente del bene. Escludere i secondi fini per- mette di vivere il bene con la vera umiltà di chi vuole farlo perché l’altro e soltanto l’altro ne possa beneficiare. Forse è vero che il bene non lo si fa: il bene in quanto tale è , e noi lo possiamo soltanto rappresentare, convertendolo magari anche in un qualcosa di concreto. Nel nostro delirio di occiden- tali tutti dediti al fare, il non essere protagonisti del bene che facciamo, ma lasciare diventare gli altri protagonisti del bene che noi semplicemente testi- moniamo, sarebbe una rivoluzione copernicana, di quelle di cui sono capaci i Santi, come Giuseppe Al- lamano. Una volta stabilito questo si capisce perfettamente che il bene deve essere «silenzioso», deve sapersi presentare alla ribalta senza pompa e senza trombe. pubblicizzare incessantemente ciò che fac- ciamo non aiuta a essere migliori di ciò che siamo, anzi! Il bene fa fatto bene… e senza rumore. Ugo Pozzoli carnarsi nelle situazioni che avevano bisogno di es- sere toccate e illuminate. Alcune sue insistenze di- ventano per noi un insegnamento importante per poter fare bene il bene da compiere. La prima è l’attenzione che egli vuole i suoi missio- nari mettano nel conoscere la realtà che li circonda. Conoscere bene lingua, cultura, storia, usi e costumi di un posto aiuta ad analizzare le circostanze e pre- vedere le conseguenze dei nostri atti. Fare il bene bene presuppone conoscere l’altro. Per fare ciò bi- sogna innanzitutto essere presenti, stare con l’altro lì dove egli vive. Questo vale per un genitore con i figli, così come per un educatore con le persone che gli sono affidate o per un prete con la sua comunità. Le relazioni «toccata e fuga» si nutrono di buone in- tenzioni, ma nella maggior parte dei casi non sanno esprimere un bene ben fatto. Anche lo studio aiuta e Giuseppe Allamano era oltremodo esigente in merito con i suoi missionari a conoscere il conte- sto e a operare bene. La lunga permanenza dell’Al- lamano in confessionale, esercizio in cui era pignolo con i preti a lui affidati, lo aveva poi reso esperto nell’arte dell’ascolto. Chi l’ha conosciuto e ne ha dato testimonianza ha ricordato come si fosse sen- tito da lui ascoltato e, per questo motivo, capito. Fare il bene costa: fatica, tempo, energie e a volte anche denaro. Eppure, quante risorse e quante op- portunità sono andate sprecate per aver semplice- mente equivocato il bisogno vero dell’altro, per non averlo saputo ascoltare. V i sono poi due consigli specifici per fare bene il bene che Giuseppe Allamano trae da suo zio San Giuseppe Cafasso, a cui deve molto della sua ricchezza spirituale, e sono diretti a migliorare la persona in quanto tale, affinché que- sta ponga attenzione ai dettagli del proprio agire, per permettere al bene di rendersi evidente to- Pillole « Allamano» # Dio è il primo mae- stro nel fare «il bene bene». Guardate la bellezza di questa spiga di un’insignifi- cante erbaccia da cortile (missione di Sererit, Montagne dei Sogni, Kenya).

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