Missioni Consolata - Ottobre 2014
ecc.), la tubercolosi, le epatiti vi- rali, la lesmaniosi, la oncocercosi e non manca la denutrizione 9 , so- prattutto infantile. Al riguardo, va ricordato che, da gennaio 2008 a gennaio 2014, sono morti (ufficial- mente) per denutrizione 419 bam- bini indigeni 10 . Il 55% del totale con una popolazione indigena che però non raggiunge lo 0,5% della popolazione brasiliana. Ai nostri occhi gli ospiti della Casai di Boa Vista si notano anche per alcune peculiarità esteriori. Uo- mini e donne hanno capelli folti, li- sci e neri, anche quelli più avanti con gli anni. «In quarantanove anni - racconta fratel Carlo - ho vi- sto un solo Yanomami coi capelli bianchi, e forse una decina con tracce di calvizie». Un’altra caratteristica fisica che in moltissimi si nota sono le bocche con dentature in pessime condi- zioni. «La questione della carie dentaria è verament e molto grave. Ci sono varie teorie che la spiegano. Gli studiosi sembrano però concordare su un punto: il problema è scoppiato dopo il con- tatto con il mondo non-indigeno». Molte donne hanno bambini al collo, altre sono indaffarate a rea- lizzare cesti, collanine e braccia- letti, altre ancora a tessere qual- che stoffa. A parte gli Yanomami, che sono più riconoscibili, difficile per noi distinguere un’etnia dal- l’altra. Gli indumenti non aiutano: magliette e pantaloncini sono oc- cidentali. Complessità versus luoghi comuni Con sorpresa scopriamo che non soltanto le stanze sono divise per etnia, ma addirittura i bagni. A si- nistra - ad esempio - ci sono quelli per i Makuxi, a destra quelli per gli Yanomami. Fratel Zacquini è stu- pito del nostro stupore: «I motivi sono vari, ma soprattutto perché - tanto per fare un esempio - anche giapponesi e coreani sono diffe- renti come lingua e come usanze. Non solo, ma alcuni indigeni sono tradizionalmente “nemici” di altri. Così, nella situazione eccezionale della Casai, i responsabili hanno fatto in modo che la convivenza forzata non causasse maggiori tensioni e che ogni gruppo indi- geno si sentisse più a suo agio. Per gli Yanomami, ma certamente non solo per essi, il trascorrere - a volte mesi - in un ambiente come questo, lontani dai propri cari e in una condizione totalmente diffe- rente, è una vera sofferenza». Appena si guarda attorno, fratel Zacquini incontra molti volti cono- sciuti. Ma non si ferma neppure davanti a chi non ha mai visto: dopo qualche attimo di reciproca esitazione, tra lo stupore delle persone, inizia a parlare in lingua yanomami. «Non proprio - ci cor- regge ancora una volta -, io parlo yanomae. Non esiste una lingua yanomami, ma una serie di lingue parlate da quella popolazione. Come: yanomamɨ, ninam, sa- numa, yawari, yaroamë e yano- mae, appunto quella che io ho im- parato. Gli Yanomami si dividono RORAIMA 26 MC OTTOBRE 2014 © Corrado Dalmonego © Carlo Zacquini © Carlo Zacquini # In senso orario : delegate yanomami alla riunione straordinaria indetta per discutere sul progetto di nuova sanità indigena (Boa Vista, 21-22 agosto 2014); un ausiliare d’infermeria presta assistenza nella co- munità di Watorik ɨ (si noti il segno fonetico in yano- mae, ndr ) nella regione De- mini, Terra indigena yano- mami; primo piano di un giovane yanomami. In basso a destra : Antonio Alves, segretario della Sesai, illustra il progetto del governo.
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