Missioni Consolata - Luglio 2014
G li spari sono forti e chiari, singoli e vicini. Stiamo parlando al telefono con un conoscente. Lui è a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove lavora per una Ong. «Aspettate, vado a vedere che non siano troppo vicini». Poi torna la calma e la conversa- zione riprende. In Rca è da oltre un anno e mezzo che si vive in perenne stato di guerra, o di guerriglia. Nel dicem- bre 2012 furono i diversi gruppi armati a maggioranza islamica che, coalizzati nella ribellione Seleka, mettevano a rischio il regime decennale di François Bozize. Regime che rovesciarono il 24 marzo dell’anno successivo, quando, presa la capitale, Michel Djotodia, numero uno della coalizione, divenne presidente grazie a un colpo di stato ( si veda MC ottobre 2013 ). Così in un paese dove la popolazione è cristiana all’85%, il governo e l’esercito di- ventarono a schiacciante maggioranza musulmana. Di più: tra i comandanti, molti non erano neppure centrafri- cani, ma sudanesi o ciadiani. La Seleka controllava tutto il territorio nazionale, sebbene suddivisa in tante fazioni, non molto coordinate, mentre le istituzioni dello stato erano di fatto scomparse. Così i gruppi ribelli dettavano legge, perseguitavano e taglieggiavano la popolazione. «G li anti Balaka hanno origine come meccanismo di autodifesa contro i soprusi della Seleka - ci racconta una nostra fonte locale - nascono a Bassangoa (nell’Est del paese a forte presenza cristiana, ndr ) poi si moltiplicano nelle altre città». Queste milizie, sedicenti cristiane, diventano il nuovo elemento di insta- bilità. Combattono dapprima contro la Seleka, ma ini- ziano subito a commettere persecuzioni e rappresaglie nei confronti dei musulmani in genere. Il conflitto prende una piega etnico-religiosa, tant’è che le Nazioni Unite mettono in guardia contro il rischio «genocidio». Gli islamici lasciano in massa il paese. È il 5 dicembre che gli anti Balaka attaccano la capitale. «Sono armati di armi “artigianali”, machete, qualche arma da fuoco. Re- stano milizie non coordinate tra loro, anche nella stessa località si possono avere tanti gruppi diversi, poco colle- gati. Sicuramente ci sono dentro banditi, qualcuno che ne approfitta. C’è poca politica» continua la nostra fonte. Eppure i dubbi di un appoggio esterno ci sono: secondo il Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite: «François Bozize fornisce sostegno materiale e finanziario a delle milizie […] che cercano di riportarlo al potere, ovvero gli anti Balaka, ed ex membri dell’esercito centrafricano». Levy Yakété, vicino a Bozize prima del colpo di stato, è accusato di organizzare distribuzione di machete a gio- vani cristiani disoccupati, allo scopo di attaccare i mu- sulmani. I due personaggi, insieme a Nourredine Adam, numero due della Seleka, sono stati raggiunti da san- zioni internazionali dell’Onu. La Francia decide di irrobustire la sua presenza, fino a quel momento di 600 militari, arrivando a 2.000 e bat- tezza l’operazione Sangaris . Diversi scontri delle milizie cristiane si verificano anche con le truppe della Misca, la missione di pace dell’Unione africana, circa 5.400 uomini, di cui fanno parte 830 mili- tari ciadiani. Ed è proprio contro questi che si accaniscono gli anti Balaka, accusandoli di collusione con la Seleka. I l presidente ciadiano Idriss Déby, cambia atteggia- mento rispetto alla crisi. Il Ciad è stato coinvolto fin dall’inizio nel ruolo di mediatore, ma allo stesso tempo ha molti interessi in campo, e ha appoggiato la Seleka (di cui diversi ufficiali sono ciadiani). Déby, presidente di turno della Cesac (Comunità economica degli stati dell’A- frica centrale), il 10 gennaio convoca un incontro di ver- tici a Njamena durante il quale i presidenti dell’area deci- dono che Djotodia deve passare la mano. Così il presi- dente Seleka «forzato alle dimissioni» abbandona e si tra- sferisce in Benin per un esilio dorato (durante poco più di 9 mesi di potere è riuscito a mettere da parte una di- screta fortuna, grazie al commercio di pietre preziose). Il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), parlamento provvisorio della Rca, composto da 135 membri, elegge il sindaco di Bangui, Chathèrine Samba-Panza, nuovo pre- sidente della Repubblica ad interim , incaricata di orga- nizzare le elezioni generali. Nominato un nuovo primo ministro, André Nzapayéké, il 27 gennaio viene varato un nuovo governo, molto simile al precedente, in cui en- trano gli anti Balaka. Ma gli scontri non si placano e, mentre Bangui resta in mano ai francesi della Sangaris e alla Misca (dalla quale il Ciad ha ritirato i suoi uomini), le truppe della Seleka ripiegano nelle loro zone di origine (a Nord Est) per riorganizzarsi, mentre nel resto del paese imperversano gli anti Balaka. Il 10 aprile il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite vota l’invio di una forza di pace di 11.800 caschi blu, che però non arriverà prima del 15 settembre, mentre l’Unione europea manderà un contingente di 500 uomini. Benché sia ben accetta dalla popolazione, la Samba-Panza ha poco margine di manovra. Nel paese ci sono almeno 200.000 sfollati interni e 60.000 rifugiati oltre confine. Intanto l’esodo dei musulmani, sia stranieri sia centrafricani, continua con ogni mezzo. «La situazione è molto preoccupante - riprende il nostro in- terlocutore - le milizie delle varie fazioni fanno tutto quello che vogliono e nessuno può intervenire». Marco Bello Dal golpe di Michel Djotodia all’arrivo degli anti Balaka Futuro incerto in Centrafrique CENTRAFRICA © AFP / Issouf Sanogo
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