Missioni Consolata - Giugno 2014

GIUGNO 2014 amico 75 cano che essi hanno perso di vi- sta la loro vera identità. Le divi- sioni che nacquero nella comu- nità di Corinto furono aspra- mente stigmatizzate da Paolo. Avevano formato le famose fa- zioni: io sono di Apollo, io sono di Paolo, io sono di Cefa, io sono di Cristo (cf. 1Cor 1,10- 17). Per Paolo, Cristo è indivisi- bile, e quanto lui fece, lo fece per tutti, di conseguenza i cre- denti appartengono solo ed esclusivamente a Lui. In forza di una profonda unione con Cristo morto e risorto, attraverso il battesimo, ci sembra difficile che si possa pretendere di ap- partenere a un gruppo diverso che non porti l’impronta di Cri- sto. Sia l’unione con Cristo che la sublime conoscenza di Lui fanno di Paolo e di tutti quelli che accettano il Cristo totale, un nuovo gruppo etnico. «MA CRISTO VIVE IN ME» Per descrivere quanto la realtà di Cristo sia entrata nella sua vita, Paolo fa un uso frequente della frase «in Cristo». Attra- verso il battesimo i credenti sono «in Cristo». Quest’espres- sione diventa la nuova identità che Paolo rivendica per sé e per i suoi seguaci. Essa ricorre 61 volte nelle lettere proprie di Paolo. Si è pensato che fosse un’indicazione del misticismo paolino, rivelatrice di un’intima esperienza di Cristo. Ci sembra di dover affermare che sia l’in- dicazione di una nuova identità cristiana. Per questo motivo, ciò che per Paolo deve caratte- rizzare il cristiano è l’essere «in Cristo», e non l’essere «nel mondo», «nel peccato», e spe- cialmente «nella carne». Coloro che sono «in Cristo» sono pas- sati da un modo di esistenza a un altro. Questo significa che si è verificato un trasferimento di appartenenza: non si appar- tiene più a se stessi, ma si ap- partiene a Lui, che è l’unico no- stro sovrano. D’ora in poi i cre- denti non sono più sotto il giogo del peccato (Rom 3,9; 5,21; 6,1.12-14; Gal 3,22), ma sotto la sovranità di Cristo. Per Paolo senza dubbio si tratta di una reciproca e profonda unione, al punto che si po- trebbe parlare di misticismo, se con questo termine intendiamo il rapporto tra l’umano e il di- vino, costituente il cuore di una profonda esperienza religiosa percepibile solo nella forma dell’intuizione immediata di una profonda realtà che sfugge a qualsiasi linguaggio, persino a quello della psicologia. In ef- fetti, si tratta di una relazione Io-Tu, nella quale Paolo e Cri- sto ritengono la loro personale identità. Cristo non si impone a Paolo, ma si propone alla sua adesione di fede, la quale è vita di Cristo in lui e di lui in Cri- sto. Magistralmente Paolo de- scrive questa nuova realtà della sua vita con un’espressione che è diventata classica e molto ci- tata: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Que- sta vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato la vita per me» (Gal 2,20). L’espres- sione «questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio» conferma chiaramente che la personalità di Gesù Cri- sto non ha cancellato la perso- nalità di Paolo, il quale ancora vive nella carne. La stessa espli- cita menzione della fede man- tiene la distinzione tra Paolo e Cristo. Tra loro non si tratta, dunque, di una sovrapposizione ma di una relazione di intimità. Si tratta di una profonda rela- zione interpersonale tra il cre- dente e Cristo, una partecipa- zione di una persona alle vi- cende e alla realtà dell’altra. In conclusione si può senza dubbio affermare che «essere in Cristo» significa essere in co- munione con Cristo in un grado sublime, senza distruggere o minimizzare - piuttosto aumen- tandola - la peculiare persona- lità sia del cristiano che di Cri- sto. DALLA MORTE, LA NUOVA CREAZIONE A questo punto dobbiamo no- tare che Paolo non manca di sottolineare una conseguenza etica dell’essere in Cristo. L’in- tima relazione vitale tra il cre- dente e Cristo sarà possibile solo se il credente si mette alla Sua sequela fino ad accettare la morte con lui. La nuova crea- zione nasce dalla morte, come si legge nel Vangelo di Gio- vanni: «Se il chicco di grano ca- duto in terra non muore, ri- mane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Rom 6,11 conferma questa realtà: «Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma vivi per Dio». La vita che i credenti vivono in Dio, dopo essere morti al peccato è, dun- que, completamente nuova e pienamente controllata da Dio (cf. Rom 6,12-14). Per Paolo la nuova vita non ri- guarda solamente i singoli cre- denti, ma investe anche la co- munità cristiana come tale. Le comunità paoline devono aver percepito nella loro vita di fede di essere completamente rinno- vate e pervase dalla presenza di Cristo, predicato e rappre- sentato nella sua più sublime realtà da Paolo. Antonio Magnante AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT Caravaggio, La conversione di san Paolo

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