Missioni Consolata - Giugno 2014
degli affetti anche se il prezzo è am- mettere il fallimento, ma molto di- pende anche dalle condizioni messe in campo dal paese di provenienza. «Ad esempio, in Perù sono attivi pro- getti di reinserimento degli emigrati che rientrano e questo aiuta a creare le condizioni per i rimpatri». Via Padova, le declinazioni dell’accoglienza Via Padova è un’arteria di oltre quat- tro chilometri che collega piazzale Lo- reto a Crescenzago. Quattro anni fa la zona fu al centro dell’attenzione dei media per l’assassinio di un giovane egiziano a opera di una banda di lati- nos . Nel quartiere che si estende intorno alla chiesa di San Gabriele, nella parte di via Padova vicina a piazzale Loreto, condizioni di precarietà, con quel che ne consegue in termini di sgretola- mento delle famiglie e di impatto de- vastante dal punto di vista psicolo- gico». Oltre due terzi degli utenti del Sai hanno una situazione abitativa che nella migliore delle ipotesi consiste in un posto letto (oneroso) in coabita- zione con altri connazionali. Altre volte si tratta di persone ospitate nei centri di accoglienza, come il rifugio Caritas vicino alla Stazione Centrale, o nei centri di accoglienza gestiti dal comune o da istituzioni religiose. Spesso l’alternativa è la strada o l’a- rea dismessa. Lo scalo della stazione di Porta Romana è un esempio di quest’ultimo tipo di sistemazioni: «Dal ponte sulla ferrovia in Corso Lodi si vedono solo le passerelle dove i passeggeri aspettano i treni», rac- conta Pedro, «ma se cammini lungo i binari arriverai a intravedere, di notte, i fuochi accesi dalle decine, a volte centinaia, di persone che pas- sano la notte nelle strutture dismesse dello scalo». Quanto all’ipotesi di rientrare nei paesi di provenienza, Pedro ribadisce che nella maggior parte dei casi «da sconfitti a casa non si torna». Qual- cuno sceglie comunque il recupero la popolazione straniera è al quaranta per cento. «La maggioranza degli im- migrati» spiega don Davide Caldirola, «proviene dall’America Latina, spe- cialmente Ecuador e Perù, e dall’E- gitto. Raramente si tratta di famiglie, spesso sono assembramenti di per- sone, ed è più difficile stabilire un contatto con loro». Qui molte sono case di ringhiera, dove il contatto diretto fra condomini è inevitabile, ma gli avvicendamenti sono frequenti: gli affitti sono alti e la gente non si ferma molto. «Qualche giorno fa», riporta don Davide, «una signora mi ha detto che se fosse per lei sarebbe ben contenta di cono- scere i vicini di casa, ma cambiano ogni tre settimane...». Accanto agli stranieri, nel quartiere vivono parecchie persone anziane che si sono stabilite qui da anni e le difficoltà a conciliare le loro esigenze con quelle dei nuovi abitanti non è sempre semplice. «Non si può chie- dere a un anziano di imparare l’egi- ziano per poter stabilire un rapporto con i vicini e a volte anche le forme un po’ chiassose di convivialità di al- cuni gruppi di migranti creano disagio in persone che desidererebbero un po’ più di quiete». Sui principi della condivisione e dell’accoglienza, dice don Davide, non si può che essere tutti d’accordo; spesso, però, nel con- creto, la partita della multiculturalità non si gioca sui principi ma su tanti piccoli episodi quotidiani che creano tensioni. Come parrocchia, a San Gabriele si è scommesso su quello che don Caldi- rola definisce un «puntare alla nor- malità», assecondando cioè l’incon- tro che già sta avvenendo nelle nuove generazioni. «All’oratorio uno su tre dei bambini che ricevono i sa- cramenti ha genitori stranieri. La no- stra struttura accoglie tutti i bambini, cristiani o non cristiani, perché cre- scano insieme e sostituiscano all’ap- partenenza etnica i valori dell’amici- zia». Chiara Giovetti (1 - continua) Cooperando…
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