Missioni Consolata - Giugno 2014

«cotte» per un coetaneo e ci si sente rifiutati perché stranieri. Sentirsi im- provvisamente diversi genera nei ra- gazzi un trauma non semplice da su- perare, e spesso si innesca una ri- cerca del gruppo di «uguali» nel quale sentirsi accettati. In alcuni casi, che rimangono comunque limitati, questi gruppi di uguali finiscono per essere le gang criminali giovanili di cui si sente ogni tanto parlare. «È pa- radossale», aggiunge don Vitali, «che in questi casi la voglia di essere “uguali” porti di fatto a unirsi a altri “diversi”». Quanto alla terza genera- zione, si tratta di persone completa- mente integrate. A Milano, spiega Simona Beretta, an- che lei in forze all’Upm e curatrice, ol- tre che ideatrice, del concorso di scrittura Immicreando, sono tre i tipi di enti che si occupano di migranti: il comune, la Chiesa e le associazioni e onlus, ad esempio il Naga. Non c’è una rete strutturata che unisca que- ste entità. Nonostante ciò, il coordi- namento funziona grazie a costanti contatti e incontri. Nelle singole realtà di quartiere, poi, la presenza di una situazione di difficoltà viene spesso gestita grazie alla comunica- zione fra associazioni, parrocchie, uf- fici pubblici presenti in loco che si se- gnalano gli uni gli altri i casi di disagio e si coordinano per dare una risposta. Quanto all’idea di periferia, a Milano occorre tenerne in considerazione due tipi: quella dei comuni della Una panoramica sulla città vista dall’Ufficio per la pastorale dei migranti «“Fate incontrare la gente”: questo è il mio incoraggiamento per i sacerdoti che delle parrocchie». A parlare è don Alberto Vitali, dell’Ufficio per la pastorale dei migranti (Upm) della Diocesi di Milano. Quando le persone si accorgono di avere problemi co- muni, come crescere i figli, trovare un lavoro, accudire un malato, continua don Vitali, diventa meno difficile ca- pirsi e venirsi incontro. La Caritas am- brosiana si occupa della promozione umana e del sociale. «Noi ci concen- triamo sul fatto che un migrante è un credente», spiega don Alberto, «e partiamo da questo presupposto per organizzare il lavoro della cappellania generale, che conta trenta realtà et- niche diverse». Il sacerdote traccia un quadro molto chiaro delle generazioni di migranti con i quali svolge il proprio lavoro: la prima generazione ha fra le sue carat- teristiche un forte legame identitario con il paese d’origine, e vive nel mito del ritorno, anche se spesso è co- stretta a rassegnarsi al fatto che tale ritorno non avverrà mai a causa della mancanza di risorse economiche. La seconda generazione, invece, è quella della piena crisi di identità. Quest’ultima, che rimane sopita nei bambini, affiora nell’adolescenza, quando magari arrivano le prime prima cintura, e poi il cosiddetto hin- terland. «Ma anche per Milano, come per Torino», chiarisce Simona, «la corrispondenza fra migranti e mar- gine geografico non è automatica: basta pensare a posti come via Pa- dova, una delle strade più multietni- che della città, che comincia da piaz- zale Loreto, una zona tutt’altro che periferica». Che la marginalità e il di- sagio siano, almeno in parte, un ef- fetto di un fallimento urbanistico è un’ipotesi che Simona non rifiuta: «Non si può dire che ci sia stato un vero e proprio progetto di ghettizza- zione, ma nemmeno c’è mai stato un progetto per spezzare queste catene urbanistiche. Il resto, poi, lo ha fatto il mercato immobiliare: i prezzi più bassi nelle zone più disagiate hanno attirato, a loro volta, persone alle quali le difficoltà economiche non permettevano di vivere in zone più costose». Cooperando… 60 MC GIUGNO 2014

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=