Missioni Consolata - Aprile 2014

APRILE 2014 MC 47 DOSSIER MC MYANMAR «Spero vivamente di sì. L’Italia ha appoggiato con forza il movimento democratico e numerose personalità del mondo dello spettacolo, della cultura, della politica si sono esposte in primo piano nella difesa dei diritti umani in Birmania». A proposito di diritti umani: a che punto siamo nel processo di pacificazione con i gruppi etnici? «Ci sono alti e bassi: il governo insiste affinché sia il parlamento a discutere la questione etnica. In effetti ci sono diversi membri che rappresentano le etnie nel nostro parlamento ed è per questo che, in questa sede, il dialogo sta già avvenendo. Da parte loro, i gruppi etnici chiedono che la questione sia discussa al di fuori del parlamento e con terze parti che facciano da garanti. Ciò che è venuto a mancare durante gli anni della dittatura militare è la capacità del dialogo e del compromesso. Nessuno vuole cedere sulle sue ri- chieste e questo porta inevitabilmente a uno stallo dei negoziati». È ciò che sta avvenendo anche nello stato Rakhine tramusulmani e buddisti? «In un certo senso sì, anche se lì non direi che si tratti di un conflitto etnico. È un contrasto completamente differente da quello in atto nelle altre parti del paese, alimentato da un senso di terrore che serpeggia in en- trambe le comunità». La paura è, quindi, secondo lei, una delle ragioni per cui nello stato Rakhine la comunità buddista e quella Rohingyamusulmana si stanno fronteg- giando violentemente. Nega, quindi, che vi siano ra- gioni più profonde nel conflitto etnico-religioso? «Prima di tutto vorrei specificare che non siamo di fronte ad un conflitto etnico». Su questo, organizzazioni che si occupano di diritti umani e di sviluppo umanitario non sono assoluta- mente d’accordo con lei e l’hanno anche duramente criticata . «Ribadisco che è la paura la causa delle violenze in atto tra buddisti e musulmani e non la differenza etnica. La comunità internazionale punta il dito accusatore solo verso i buddisti, ma anche loro hanno subito violenze. Ci sono migliaia di buddisti che sono dovuti fuggire du- rante il regime militare e ancora oggi vivono in campi profughi». Associazioni emovimenti che si occupano della que- stione all’interno dello stato Rakhine l’hanno accu- sata di non voler difendere i diritti della comunità islamica per un puro calcolo elettorale in vista delle elezioni presidenziali del 2015. «Posso rispondere dicendo anch’io che le loro accuse sono un’assurdità. Io e il mio partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, abbiamo sempre sostenuto che il governo avrebbe dovuto controllare e far rispettare il confine tra Birmania e Bangladesh. Per anni nessuno se n’è occupato con il risultato che migliaia d’immigrati clandestini oggi sono in territorio birmano. La radice del problema è tutta qui, oltre al fatto che in Birmania c’è la paura che elementi esterni possano destabiliz- zare il paese». È, però, un dato di fatto che vi sonomovimenti bud- disti, come il Movimento 969, che istigano alla xeno- fobia, se non addirittura alla violenza. «Io condanno ogni tipo di violenza, ma se vuole che condanni solo la violenza dei buddisti contro i musul- mani, allora non lo farò. Condannare una sola comunità serve solo a istigare altra violenza e se le mie parole fossero fraintese chi ne farebbe le spese sarebbe il po- polo, non io che le ho pronunciate». Qual è, quindi, la soluzione che propone? «Il primo punto del mio programma politico è far ri- spettare le regole. In Birmania, come in altri paesi del mondo, si ha la percezione e la paura che vi sia un po- tere musulmano globale che possa destabilizzare i paesi in cui questo potere si insinua. Ciò significa che il problema di cui stiamo discutendo non è solo un pro- blema birmano, ma internazionale. Lei mi chiede quale soluzione propongo. È semplice: io la chiamo rispetto della legge e della giustizia. Io e il mio partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, abbiamo sempre soste- nuto che il governo avrebbe dovuto controllare e far ri- spettare il confine tra Birmania e Bangladesh. Per de- cenni i regimi militari birmani non hanno controllato il confine con il Bangladesh lasciando che questo diven- tasse estremamente poroso e permettendo a migliaia di persone di entrare illegalmente in Birmania. Ora, io chiedo che si rispetti la legge di cittadinanza: chi ha la facoltà di diventare cittadino birmano, deve far valere questo diritto. Il governo, da parte sua, deve porre fine a questa immigrazione illegale e garantire la cittadi- nanza a chi ne ha diritto». A sinistra: «Le forze armate e il popolo in eterna unità. Chiunque cerchi di dividerli è nostro nemico», così recita il cartellone della propaganda governativa a Hpa An, capoluogo dello stato Kayin . Pagina precedente: Aung San Suu Kyi con il presidente Thein Sein nella sede del governo, a Naypyidaw .

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