Missioni Consolata - Aprile 2014

A sinistra : il presidente birmano Thein Sein (a destra) con Barack Obama alla Casa Bianca il 21 maggio 2013. Sopra : il monaco buddista U Wirathu, leader dell’organizza- zione estremista «Movimento 969». Pagina seguente : mappa del Myanmar con le varie divisioni amministrative e le zone dei conflitti. possibile da dimostrare visto che la maggior parte dei Rohingya sono emigrati durante il periodo coloniale, quando sia Birmania che India erano sotto il dominio britannico e le documentazioni relative al trasferi- mento da un luogo all’altro della colonia sono difficili da reperire. Lo stesso termine Rohingya è stato oggetto di aspra discussione: secondo il governo, infatti, non esisterebbe alcuna etnia che possa definirsi tale (e in effetti tra le 135 etnie riconosciute nel Myanmar non esiste nazione che si rifaccia a questo gruppo etnico musulmano). Le fonti ufficiali governative hanno sempre identificato le comunità islamiche del Rakhine come Bengalesi giunti clandestinamente dal Bengala e dal Bangladesh e che, come tali, sarebbero presenti in Myanmar in modo del tutto illegale. Nonostante queste difficoltà, secondo un sondaggio compiuto nel maggio 2012, il 70% dei Rohingya po- trebbe avere diritto alla cittadinanza birmana, rivolu- zionando la demografia della regione e minacciando la supremazia economica, sociale e politica dei Rakhine buddisti. Il timore che il processo di democratizzazione del regime possa incoraggiare l’integrazione, ha contri- buito ad alimentare gli attriti tra i due popoli. I rapporti delle commissioni di inchiesta internazionali sono giunti a conclusioni diametralmente opposte a quelle della commissione governativa, voluta dal presi- dente Thein Sein per investigare sulla situazione del Rakhine. Di essa facevano parte anche membri non simpatetici con il governo, come il comico satirico Zar- ganar e il leader di Generazione 88, Ko Ko Gyi. Ma nes- sun Rohingya è stato inserito nella lista. Il rapporto finale dell’organismo birmano, dopo sette mesi di consulti e interviste sul luogo, individuava nel «rapido incremento della popolazione musulmana» uno dei principali fattori che avrebbe indotto la comu- nità Rakhine di fede buddista a reagire con violenza contro i Bengalesi (la parola Rohingya non è mai men- zionata). La stessa commissione consigliava di imple- mentare una politica di controllo delle nascite per la comunità islamica tenendo separati, nel frattempo, fe- deli musulmani e buddisti per evitare che venissero in contatto tra loro. La relazione è stata recepita positivamente dal governo che, il 25 maggio, ha approvato la legge che vieta ai Bengalesi di avere più di due figli. Inoltre, nel solo 2013, circa 75.000 Rohingya sono stati forzatamente allonta- nati dai loro villaggi e dislocati in campi e villaggi da cui non possono allontanarsi, a differenza di quanto ac- cade per i Rakhine, senza un permesso speciale. Di diverso avviso, invece, sono i resoconti delle organiz- zazioni internazionali che hanno visitato lo stato Ra- khine. Tutti concordano nell’affermare che i Rohingya sono le principali vittime di una politica inaugurata al- l’indomani dell’indipendenza birmana (quindi ben prima del colpo di stato militare del 1962) e perpetuata ancora oggi dal governo di Nay Pyi Taw. Le commis- sioni, cui è stato garantito l’accesso alle prigioni in cui sono detenuti gli attivisti musulmani, hanno parlato di condizioni inumane e di torture inflitte ai carcerati. Nei © White House, 2013

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