Missioni Consolata - Aprile 2014
APRILE 2014 MC 37 Gli scontri tra musulmani e buddisti Tutto il corso del 2013 è stato caratterizzato da una re- crudescenza degli scontri a sfondo religioso ed etnico ( vedere mappa a pag. 39, ndr ), che ha monopoliato quasi totalmente l’attenzione della comunità interna- zionale. Nel primo caso, i conflitti tra musulmani e bud- disti - iniziati nel maggio del 2012 nello stato Rakhine - si sono estesi, a partire dai primi mesi del 2013, anche in altre regioni del paese. Nel conflitto etnico, invece, Kachin e governo centrale hanno continuato ad alter- nare negoziati al clamore delle armi. In entrambe le situazioni le istituzioni governative, il presidente Thein Sein e la stessa Aung San Suu Kyi sono stati duramente criticati dalle organizzazioni in- ternazionali che si occupano del rispetto dei diritti umani per la pesante responsabilità avuta nelle cruenti vicende o, nel caso della leader dell’opposizione, per non aver criticato con sufficiente forza le violenze set- tarie. In un’intervista rilasciata durante il suo viaggio in Italia nell’ottobre 2013, Aung San Suu Kyi ha cercato di spiegare il suo atteggiamento: «Io condanno ogni tipo di violenza, ma se vuole che condanni solo la vio- lenza dei buddisti contro i musulmani, allora non lo farò. Condannare una sola comunità serve solo a isti- gare altra violenza e se le mie parole fossero fraintese chi ne farebbe le spese sarebbe il popolo, non io che le ho pronunciate» ( a pag. 47 del dossier, ndr ). Va comunque detto che le brutalità nel Rakhine e quelle nel Kachin, pur avendo punti in comune, sono espressioni di due malesseri differenti che vanno ana- lizzati in modo opportunamente dettagliato visto che, proprio sulle questioni portate alla luce dai conflitti, si giocherà il futuro della convivenza civile in Myanmar. Per quanto riguarda gli scontri tra musulmani e buddi- sti, l’espandersi dei pogrom ai danni delle comunità is- lamiche ha indotto diversi politici a prendere posizioni molte volte contraddittorie. In particolare, Thein Sein ha incolpato «opportunisti politici ed estremisti reli- giosi» di aver fomentato e manovrato le proteste, men- tre il generale Hla Min ha ipotizzato che gli scontri siano stati voluti e diretti da gruppi contrari alle ri- forme in atto. Se, in entrambe le accuse, si intravedono elementi che possano giustificare tali dichiarazioni (ad esempio, la conservazione di uno status quo che, anche tramite la dittatura, aveva garantito una sorta di pace sociale), appare improbabile che la destabilizzazione del paese possa favorire una precisa corrente politica. Da parte dell’opposizione, ancora una volta Aung San Suu Kyi ha rimandato la completa responsabilità al go- verno: «Per decenni i regimi militari birmani non hanno mai controllato il confine con il Bangladesh la- sciando che questo diventasse estremamente poroso e permettendo a migliaia di persone di entrare illegal- mente in Birmania. Ora, io chiedo che si rispetti la legge di cittadinanza: chi ha la facoltà di diventare cit- tadino birmano deve far valere questo diritto. Il go- verno, da parte sua, deve porre fine a questa immigra- zione illegale». L’ United Nations High Commissioner for Refugees (Unhcr) stima che vi siano più di 808.000 Rohingya tra Myanmar e Bangladesh privi di cittadinanza e, quindi, dei diritti che questa comporta. Secondo la Legge di cittadinanza del 1982, il Myanmar concede il titolo ai residenti nel paese che possono dimostrare di aver avuto parenti stabilitisi in Birmania già prima dell’indi- pendenza, avvenuta nel 1948. In questo caso, però, la domanda deve essere presentata entro la terza genera- zione documentando la comprovata residenza della propria famiglia. Cosa, naturalmente, pressoché im- DOSSIER MC MYANMAR Pagina precedente : trasporti lungo il fiume Irrawaddy. A sinistra : un taxista nella città di Mandalay. In copertina (pag.35) : Sittwe, capoluogo di Rakhine, stato a forte presenza musulmana. Foto piccola : monaci sul ponte di legno U Bein a Amarapura (Mandalay).
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