Missioni Consolata - Marzo 2014
56 MC MARZO 2014 IRAN ma che sono rigorosamente sin- cronizzati, in una specie di danza. Queste manifestazioni di dolore assumono a volte anche forme estreme. Alcuni si bat- tono a sangue, lacerandosi la pelle a forza di colpi, o fustigan- dosi con pesanti catene. A mez- zogiorno del decimo giorno, l’ora in cui Hussein fu ucciso, c’è chi si procura ferite sul capo con armi da taglio, nel tentativo di rendersi il più possibile simile a lui e in una sorta di anacroni- stico bisogno di punirsi per non averlo difeso a Karbala. Tali pra- tiche sono ora vietate in Iran, ma continuano clandestina- mente. Per tutto il periodo di lutto, e in particolar modo nei due giorni conclusivi, è molto diffusa l’usanza di preparare cibo e bevande da distribuire alla gente: poveri, vicini di casa, o semplici passanti. Lo si fa per impetrare una grazia, o in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta. I più organizzati prepa- rano un vero e proprio pasto: riso e stufato di carne, offerto in contenitori monouso, facili da portar via. «Morte allo scià» Hussein riteneva proprio dovere di musulmano impedire che un governante iniquo prevalesse sulla comunità dei fedeli, e tra gli sciiti il suo martirio è assurto a simbolo della lotta contro l’in- giustizia e l’oppressione. Ripor- tiamo un discorso da lui pronun- ciato in opposizione a Yazid: «Al credente che non interviene con parole o azioni quando vede un governante tirannico violare le leggi di Allah e del suo Messag- gero e opprimere il popolo, il Profeta dell’islam assicura che Dio riserverà il meritato castigo. Non vedete come tutto è cor- rotto, non vedete che la verità è tradita e la menzogna non ha li- miti? Per me la morte è solo la via per il martirio. Vivere tra i peccatori sarebbe tormento e pena». L’ayatollah Ruhollah Khomeini fece leva sul potenziale rivolu- zionario di queste parole quando il 3 giugno 1963 tra- sformò le celebrazioni di Ashura in un’imponente manifestazione anti-scià. Nel sermone pronun- ciato in quel giorno per ricor- dare la tragedia di Karbala egli equiparò lo scià a Yazid, il ne- mico dell’islam, cui il popolo- Hussein avrebbe chiesto conto del suo operato iniquo. Cosicché quando nelle piazze si cominciò a gridare «morte a Yazid», tutti capivano quale fosse il vero si- gnificato di quelle parole. Il giorno dopo Khomeini fu arre- stato, ma l’effetto del senti- mento che era riuscito a destare nel popolo non tardò a farsi sen- tire: Teheran e altre città entra- rono in rivolta e lo scià fu co- stretto a intervenire con l’eser- cito per ristabilire l’ordine. Il bi- lancio fu pesantissimo. «Ogni giorno è Ashura, ogni terra è Karbala». È una frase ri- masta famosa, che intende indi- care il valore sempre attuale del martirio di Hussein: un vero mu- sulmano deve essere pronto in ogni momento e circostanza a sacrificare la propria vita per preservare la purezza della fede e resistere al male. Khomeini e il clero sciita seppero rendere questo dovere religioso pre- sente alla coscienza di ogni buon credente e associarlo alla lotta contro il regime dello scià. L’operazione riuscì anche grazie al sociologo Ali Shariati, che in quegli stessi anni predicava la forza rivoluzionaria del marti- rio. «Muharram è il trionfo del sangue sulla spada», diceva Khomeini, «i martiri muovono la storia», faceva eco Shariati: non importa se si è in pochi e disarmati contro un tiranno po- tente e crudele. Basta non avere paura di morire per una causa giusta e, alla fine, la vit- toria arriverà. Si arrivò, difatti, al 10 e 11 di- cembre del 1978, il nono e de- cimo giorno di muharram , giorni in cui milioni di persone sfilarono per le strade del paese battendosi e gridando «morte allo scià». Erano disar- mati, è vero, ma non erano più il piccolo resto di Karbala. Erano in tanti, e pronti a mo- rire. Il 16 gennaio del 1979 lo scià abbandonò l’Iran. L’astuzia di Khomeini La storia «politica» di Ashura in Iran, però, non finisce qui. La ri- voluzione aveva trionfato, ma perché essa fosse anche «isla- mica» Khomeini dovette affron- tare il dissenso interno di chi non vi aveva preso parte, e una difficile guerra contro l’Iraq, che aveva improvvisamente invaso il Sud del paese. Ashura ora gli serviva per consolidare la vitto- ria del suo islam, e tutti quelli che gli si opposero divennero tanti Yazid: gli alleati di un tempo, le potenze occidentali e, naturalmente, Saddam Hussein, che, indegno di portare quel nome (tra l’altro assai scomodo da scandire quando se ne invo- cava la morte nelle processioni di muharram ), era stato pronta- mente ribattezzato «Saddam Yazid, l’infedele». Khomeini aveva già sperimentato quale formidabile strumento di aggre- gazione fossero le commemora- zioni di Ashura, quando la gente si riuniva a piangere i martiri di Karbala. Attraverso quelle adu- nanze si poteva mobilitare un intero popolo intorno a un obiettivo: il male da combattere
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