Missioni Consolata - Marzo 2014
nieri e portati a Da- masco. Poiché l’uccisione di Hussein e dei suoi avvenne il decimo giorno di muharram , l’intero episodio è ri- cordato col nome di Ashura («decimo», in arabo). La frattura: sciiti e sunniti L’uccisione di Hussein approfondì la frattura all’interno dell’islam tra coloro che si riferivano all’autorità spirituale de- gli imam e coloro che ri- conoscevano nei califfi le proprie guide. Questa frattura non si è più ri- composta e si perpetua fino ai nostri giorni nella divisione tra gli sciiti (circa il 10% dei musulmani) e i sunniti. Questi ultimi consi- derano i primi eretici e, quindi, meritevoli di morte, alla stregua degli infedeli. I più intransigenti tra i sunniti ritengono che l’uccisione di uno sciita sia azione meritoria, che aiuta a guadagnare il para- diso. Le cronache odierne, pur- troppo, registrano numerosi at- tacchi terroristici a comunità e moschee sciite, con particolare frequenza in concomitanza con ricorrenze religiose nelle quali i fedeli affollano i luoghi di culto. Ashura è una di queste e anche lo scorso novembre le comunità sciite nel Sud dell’Iraq e in Paki- stan hanno subito attacchi san- guinosi. Gli sciiti sono rimasti sempre una branca minoritaria dell’i- slam assoggettata alla maggio- ranza sunnita, tranne che in Iran, ma anche in quest’ultimo paese solo a partire dall’insedia- mento della dinastia safavide nel XVI secolo. All’interno dell’islam sciita si sono originati diversi gruppi che si differenziano principalmente per il numero di santi imam ve- nerati. Gli zaiditi si fermano ai primi cinque, gli ismailiti ne rico- noscono sette e gli sciiti duode- cimani, i più numerosi, dodici. A differenza dei sunniti per i quali il termine «imam» (come è co- munemente conosciuto anche nel nostro paese) indica colui che dirige la preghiera rituale in comune, nello sciismo imam de- signa i diretti discendenti di Ali, e, quindi, del Profeta. La succes- sione degli imam sciiti si è inter- rotta nell’874 con la scomparsa del dodicesimo, che, secondo la tradizione, non sarebbe mai morto, e si sarebbe «nascosto», occultato agli occhi degli uo- mini, per tornare alla fine dei tempi in compagnia di Gesù e Maometto. Egli, tuttavia, non fa- rebbe mai mancare la propria guida spirituale a coloro che lo cercano con cuore sincero, gli unici ai quali continuerebbe a manifestarsi. Non potendo occupare cariche politiche, il ruolo degli imam era rimasto eminentemente reli- gioso. La loro missione era di guidare i credenti sulla via della fede, interpretando corretta- mente le parole del Corano. Come i primi tre, nessuno di loro morì di morte naturale, tranne il dodicesimo, come si è detto. Morirono in prigionia, avvele- nati, uccisi da emissari dei califfi. Per gli sciiti furono tutti martiri che pagarono col sangue la pro- pria fedeltà al Corano e alla mis- sione loro affidata: conservare intatta nel popolo la fede rice- vuta per tramite del Profeta. Si può dire che lo sciismo si fonda sul sangue dei martiri, tra i quali Ali e Hussein sono senz’altro i più venerati. La figura di Hussein Il martirio di Hussein è diventato una storia esemplare che, da più di mille e trecento anni, non solo è ricordata, ma è rivissuta dai fedeli. Il racconto di Ashura parla di una straziante agonia e di una morte affrontate per non tradire la verità della fede e per resistere al tentativo di asservire l’islam a un interesse politico. I testi sciiti affermano che Hus- sein conoscesse in anticipo quale sarebbe stata la propria sorte a Karbala, e che le sia an- dato consapevolmente incontro. Venire a patti con Yazid, un de- MC ARTICOLI MARZO 2014 MC 53
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