Missioni Consolata - Marzo 2014
46 MC MARZO 2014 niva al confine Libia-Ciad. Adesso hanno vari punti di prigionia, anche verso il Niger. In Sinai i campi di tor- tura continuano a funzionare, ma non più come prima». «Sono circa 400 gli eritrei tenuti in ostaggio, oggi in Sinai. Alcuni sono incatenati nelle cantine delle case dei beduini, altri in case e altri ancora in tende nel deserto, ma è difficile localizzarli con esat- tezza. I metodi di tortura sono sempre gli stessi». Chi parla è Meron Estefanos, giovane giornalista eritrea che ha curato il rapporto citato insieme alle due ricer- catrici olandesi. Perché eritrei? Il traffico pare molto più redditizio con gli eritrei che con etiopi, somali, sudanesi. Si stima che il 95% degli ostaggi in Sinai siano eritrei. Questo è dovuto a di- versi fattori. Intanto la fuga di massa dal paese. Sono circa 5.000 gli eritrei che lasciano il paese ogni mese (4.000 per Unhcr). In secondo luogo i legami fami- gliari e sociali in Eritrea sono molto forti e la famiglia rimasta in patria mobilita interi villaggi per racimo- lare i soldi del riscatto. Vengono poi presi di mira figli e parenti di eritrei della diaspora, per la maggiore disponibilità economica. Molte vittime del traffico sono minori, si contano anche bambini e bambine piccoli e molti adolescenti in fuga dal servizio militare eritreo. Le ragazzine subiscono i traumi maggiori e spesso restano incinte. La lotta al traffico di esseri umani non sembra essere prioritaria per i paesi di transito. «Non si può fare af- fidamento sui governi di Sudan ed Egitto, perché il sistema è totalmente corrotto». Nel 2010 e 2011 l’Ong di don Zerai raccoglieva indicazioni precise sulle localiz- zazioni delle prigioni clandestine e le segnalavano alla polizia egiziana: «I militari sapevano dove stavano le prigioni clandestine ma non intervenivano, erano spesso a libro paga dei trafficanti. Inoltre questi ultimi sono molto armati, ed è successo che assaltassero le stazioni di polizia per prendere gli eritrei, profughi ar- restati dai militari egiziani mentre cercavano di attra- versare illegalmente la frontiera con Israele». «Gli interessi militari egiziani in Sinai - continua Me- ron Estefanos - riguardano solo la caccia agli islami- sti. Molte case prigioni sono state distrutte e 150 eri- trei liberati. Purtroppo gli stessi sono stati poi arre- stati dalla polizia egiziana. Il Sudan sta facendo molte promesse di lotta al traffico, ma esso è invece in forte aumento nel paese». Deboli le voci di Ue e Italia L’Unione europea e l’Italia non sembrano intervenire. Continua don Zerai: «È dal 2010 che bussiamo alla porta della Ue. All’inizio fecero una risoluzione affin- ché le autorità egiziane intervenissero contro questi campi di tortura nel loro territorio, ma l’Egitto ne- gava l’esistenza del problema, anzi ci accusava di de- nigrare l’immagine del paese. Poi ha riconosciuto i fatti, quando Cnn e Bbc hanno documentato corpi martoriati e ferite dei sopravvissuti del Sinai, ma non ha fatto niente. Non vediamo i risultati delle pressioni diplomatiche della Ue. Anche in Italia è lo stesso: ci hanno promesso una commissione d’inchiesta sull’E- ritrea. Ma, finora, è una delusione». Rincara Meron: «Non abbiamo avuto reazioni né dalla Ue né dall’Ita- lia. L’unica notizia positiva è che la Svezia, a fine di- cembre, ha dato asilo a 54 donne e un bimbo vittime del traffico in Sinai». L’Italia è uno dei paesi che continua a mantenere con- tatti con il regime Afewerki. Denuncia ancora don Ze- rai: «Ue e Usa chiedono all’Italia di non rompere le re- lazioni, per essere un canale di contatto. Ma secondo quello che ci dicono alla Farnesina (ministero degli Esteri italiano, ndr ) il rapporto è piuttosto conflit- tuale. Poi ci sono degli affari loschi tra i due paesi. L’ultimo rapporto dell’inviato speciale dell’Onu ac- cusa l’Italia di aver violato l’embargo sulle armi. Ci sono state vendite strane da parte di aziende e perso- naggi italiani all’Eritrea. Inoltre, i pezzi grossi del re- gime sono di casa in Italia quando invece non dovreb- bero ricevere i visti. Questo rapporto non è ancora approvato, perché uno dei paesi che ha messo il veto è l’Italia». Marco Bello «Q uello che è duro in questo lavoro è par- lare con gli ostaggi, l’attaccamento con loro. Diventano parte della mia fami- glia. Sono molto colpita quando qualcuno con cui ho parlato muore. O quando magari sono io che devo comunicarlo alla famiglia. Una donna alla quale mi ero legata morì, e questo mi toccò moltis- simo. Piango sempre quando sento il suo nome. Lei era stata rapita con suo figlio ed è stato difficile per me accettare la sua morte. Adesso sto cer- cando di adottare il suo bimbo. In questo senso la parte più dura del lavoro sono le loro storie. Conti- nuerò a monitorare il traffico finché non finirà». Meron Estefanos Meron Estefanos è una giovane giornalista eritrea che vive in Svezia. Attivista dei diritti umani, fin dall’inizio ha lavorato sul traffico di esseri umani in Sinai. È coautrice di Human trafficking in the Sinai: refugees between life and death , e di The human trafficking cycle: Sinai and be- yond , insieme a Mirjiam van Reisen e Conny Rijken (en- trambe docenti alla Tilburg University, Paesi Bassi) e di numerosi articoli. Meron è cofondatrice della Internatio- nal Commission on Eritrean Refugees in Stoccolma e nel 2011 ha ricevuto il Dawit Isaac Award . La testimone Interviste che lasciano il segno A destra: Asmara, il Cinema Impero in tipica architettura fascista.
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