Missioni Consolata - Marzo 2014
termediari in paesi terzi (ad esempio Arabia Saudita) senza alcuna tracciabilità. Nonostante il pagamento talvolta i prigionieri non vengono liberati, ma venduti ad altri trafficanti. Gli ostaggi liberati cercano di an- dare verso la Libia e poi tentano di attraversare il Me- diterraneo con i barconi. Come molti dei morti del 3 ottobre. Altri ancora vanno verso l’Etiopia. In alcuni casi il riscatto viene pagato dai parenti direttamente in Eritrea, e questo fa pensare a coperture altolocate, in un paese dove nulla si muove senza che i servizi se- greti lo sappiano. Negli ultimi mesi del 2013 l’Egitto ha bombardato la zona dei campi di tortura per questioni di sicurezza con Israele. Questo ha fatto sì che alcuni trafficanti li spostassero altrove: «Le nuove “prigioni” sono a Sud dell’Egitto, nel triangolo Libia, Egitto, Sudan ma an- che verso il Ciad. I testimoni ci dicono che sono pas- sati di lì, da quell’inferno. Tenuti in container roventi dove venivano torturati per richiedere il riscatto con il solito sistema. Se non paghi ti vendono verso il Ciad. A novembre un somalo è stato arrestato a Lam- pedusa perché riconosciuto dagli eritrei come colla- boratore dei trafficanti che li tenevano prigionieri. Lui li picchiava e abusava delle donne. E questo avve- MARZO 2014 MC 45 L’ associazione fondata da don Mussie Zerai si chiama Agenzia Habeshia. È costituita da eri- trei e italiani. Oltre alla missione di infor- mare, fare conoscere le traversie dei migranti eri- trei e la situazione dei diritti in patria, l’associazione è diventata riferimento per rifugiati e richiedenti asilo. Dopo aver aiutato a salvarsi diversi migranti finiti nella rete dei trafficanti del Sinai, oggi concentra le sue attività in progetti di educazione. Offre borse di studio a giovani eritrei, in particolare donne, nei campi profughi dell’Etiopia. Lo scopo è permettere loro di studiare per cercare di costruirsi un futuro. Don Zerai: «È un tentativo di frenare i giovani che spesso fanno scelte dettate dalla disperazione. Vi- vere nei campi profughi vuol dire stare fermi, senza speranze per il futuro. Più della metà dei morti del 3 ottobre sono partiti dai campi profughi degli eritrei in Etiopia. I giovani dicono: “Sappiamo che c’è il ri- schio, ma tra morire lentamente qui e morire ten- tando la sorte preferisco questa seconda op- zione”». F acendo visita ai campi don Zerai nota diverse tombe. Gli dicono che sono ragazze morte di parto all’interno del campo, perché, oltre a subire le violenze, poi non hanno nemmeno strut- ture sanitarie a disposizione: «In un campo di 14.000 persone c’è una sola ambulanza. Perché non for- mare infermiere e ostetriche che poi possano tor- nare nei campi a lavorare? Abbiamo scelto donne che hanno subito violenze sessuali e abbiamo pro- posto loro di studiare tre o quattro anni. Occorrono circa 3.000 euro all’anno per far studiare una ra- gazza. «Siamo una goccia» conclude il sacerdote. Ma.Bel . S ITO WEB : habeshia.blogspot.it L’Ong Agenzia Habeshia Una goccia di solidarietà DOSSIER MC ERITREA © Cosimo Caridi
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