Missioni Consolata - Marzo 2014

44 MC MARZO 2014 Svizzera e fondatore della Ong Agenzia Habeshia (vedi box). Don Zerai, che vive tra Roma e la Svizzera, è diventato un riferimento per i migranti eritrei, che gli telefonano dalle situazioni più difficili. L’inizio della «via del Sinai» «I primi a contattarci sono state persone respinte dall’Italia verso la Libia. Era il 2009, l’epoca dei re- spingimenti. Quei migranti avevano cercato un altro percorso, volevano passare da Israele, e sono stati i primi a essere sequestrati nel Sinai. Erano un’ottan- tina. Quando, sotto tortura, hanno detto loro di chia- mare i famigliari per il riscatto, hanno chiamato me, perché eravamo in contatto quando erano in Libia. Così abbiamo scoperto un traffico immane: in quel periodo c’erano più di 1.500 ostaggi in quella zona». I prigionieri sono incatenati nei sotterranei di ville e case delle città del Nord del Sinai, Al Arish, Al Rafah e altre. Qui avvengono violenze, stupri di gruppo e torture. Queste prigioni sono spesso costruite con i soldi del traffico. «Abbiamo cercato di aiutare le famiglie di quei seque- strati, per salvare soprattutto donne e ragazzine in- cinte, o che rischiavano di essere vendute nei paesi arabi e finire nel giro della prostituzione o usate come schiave. Abbiamo raccolto fondi ma le richieste sono presto aumentate da 8.000 a 40-50.000 dollari a per- sona (da 6.000 a 40.000 euro, ndr ). Abbiamo aiutato una quarantina di persone a salvarsi. Ci ha dato una mano anche un beduino contrario al traffico, che di notte faceva fuggire gli ostaggi e noi pagavamo loro il trasporto». Ma come inizia il terribile viaggio del migrante eri- treo? «È una catena che parte dall’Eritrea, al confine con il Sudan, nella regione di Kassala: il primo seque- stro avviene lì. Se paghi immediatamente e sei fortu- nato, ti rilasciano e puoi continuare verso Khartum, se invece non puoi pagare, ma talvolta anche se paghi, ti vendono ad altri gruppi, così il viaggio prosegue verso l’Egitto» continua don Zerai. Molti rapimenti avvengono nei tre campi profughi di Shagarab, nella provincia di Kassala. L’Unhcr ha regi- strato 114.500 rifugiati eritrei in Sudan. Senza con- tare quelli non registrati. Per arrivare lì i migranti hanno già dovuto pagare 2-3.000 dollari ai «contrab- bandieri» di esseri umani per farsi portare fuori dal- l’Eritrea. Altri vengono rapiti nei campi profughi in Etiopia, dove sono presenti oltre 70.000 eritrei. Ma il rapporto delle ricercatrici racconta anche di se- questri avvenuti in territorio eritreo, nelle città di confine, come Teseney e Golij, e addirittura in capi- tale, ad Asmara. Spesso i sequestri di giovani avven- gono negli stessi campi militari eritrei e sono auto uf- ficiali a portarli oltre confine. Nell’ottobre 2013 si sono verificati 211 rapimenti di minori nel campo militare Sawa, per ognuno dei quali è stato richiesto un ri- scatto di 10.000 dollari. Racconta don Zerai: «Stando alle testimonianze di molti ragazzi ci sono militari eri- trei coinvolti negli attraversamenti dei confini: basta pagare e vieni accompagnato con auto di stato fino alla frontiera, in alcuni casi addirittura in territorio sudanese. C’è un business , e qualcuno dei pezzi grossi militari ci sta guadagnando. Questa migrazione, inol- tre, viene usata come valvola di sfogo dal regime: te- nere tutti i giovani in casa senza cambiamento e pro- spettive si rischierebbero delle rivolte, come le prima- vere arabe in Nord Africa». Esseri umani contro esseri umani Elementi dell’Unità di controllo dei confini ( Border surveillance unit, Bsu ) sono coinvolti nel «contrab- bando» di persone. I rapporti di monitoraggio delle Nazioni Unite citano il coinvolgimento del governo eritreo e di alti ufficiali nel traffico. In particolare il generale Teklai Kifle (detto Manjus), comandante della Bsu, e il colonnello Fitsum Yishak sono stati identificati dalle Nazioni Unite come i vertici del traf- fico in Eritrea. In Sudan i trafficanti sono elementi delle tribù Ras- haida e Hidarib , spesso accompagnati da loschi indi- vidui eritrei. Queste tribù sono imparentate a livello linguistico ed etnico con i beduini del Sinai ed è con loro che è nata l’intesa per il traffico. I Rashaida rapi- scono i migranti eritrei in Sudan (anche dentro i campi profughi gestiti dall’Unhcr) e li trasportano in Egitto dove li vendono ad altri gruppi che li portano nelle prigioni clandestine (i campi di tortura) nel Si- nai. Qui i beduini applicano le torture più atroci e ob- bligano i prigionieri a chiamare parenti e amici per chiedere di mandare i soldi del riscatto. I trasferi- menti avvengono tramite Money Transfer verso in- Sopra : Asmara, piccolo venditore al mercato di Medeber. A destra : Sinai, a pochi chilometri dai campi di tortura ci sono mete paradisiache ambite dai turisti occidentali, come Sharm el Sheikh. © Mattia Gisola

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