Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2014
GENNAIO-FEBBRAIO 2014 amico 77 La cosa più faticosa è vedere tutta questa gente che arriva per chiedere. Molte persone non hanno niente. Molti lebbrosi che sono venuti al- l’ospedale per le cure non sono poi tornati a casa loro dopo la guarigione. Molti non se la sono sentita di tornare a casa al- lontanandosi dall’ospedale. Alcuni non sono più stati accettati a casa. Queste sono le persone che hanno più bisogno. È un ritornello quoti- diano: «Aiutami». E questa è una cosa che fa soffrire molto: quando non puoi farlo! Poi aiutiamo anche i pazienti dell’ospedale. Le cure non sono costose, ma non sono nemmeno completamente gratuite. E molte persone non riescono a pa- gare. Allora la missione aiuta anche loro». Sull’Etiopia puoi dirci qualcosa? «Gli etiopi non hanno un buon ricordo degli italiani, però sanno che noi siamo lì per aiutare. Per le relazioni con le altre religioni andiamo avanti bene. Sia con i musulmani, che con la chiesa etiope, che con i gruppi pentecostali ci rispettiamo. Ogni tanto ci ritroviamo. Non fac- ciamo grande dialogo, però ci aiutiamo a vi- cenda. Anche per gli aiuti non guardiamo alle dif- ferenze etniche o religiose: chi ha bisogno ha bi- sogno». Qual è la difficoltà più grande che incontri? E qual è la soddisfazione più grande? «La difficoltà più grande che incontro è quella di venire incontro a tutti quelli che hanno bisogno. È una difficoltà tremenda che ci lascia sempre tristi. La soddisfazione più grande è quella di vedere gli studenti prendere il diploma e venire da noi per ringraziare e portare magari anche un piccolo re- galino». Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria? «In Colombia, a Solano, c’era una vecchietta cieca che veniva ogni tanto a messa al mattino, e quando non poteva venire lei, andavamo noi a trovarla a casa. Quando andavo, faceva di tutto per preparare il caffè ogni volta. Si chiamava Ines. Siccome era piccolina, la chiamavamo Inesita. Mi è rimasto nel cuore il suo modo di fare: il suo modo di ringraziare, di pregare, e anche il suo modo di offrirmi il caffè». Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? «La grande sfida per me è quella di riuscire a en- trare nel cuore di tutti quelli che vivono nella mis- sione, per poter essere veramente una famiglia. Accettare l’altro, ed essere capaci di farsi accet- tare dall’altro». Che cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata? «La parola stessa “Consolata” esprime già qual- cosa, no? Noi dovremmo essere portatori di con- solazione. Quella che il mondo non dà. Quella che solamente il missionario pronto e disposto a riceverla attraverso la preghiera e il contatto con il Si- gnore, può donare. Portare la con- solazione nel mondo intero, nelle famiglie, nel singolo. Consola- zione. Belle cose da dire, ma met- terle in pratica non è facile. Ci suggerisci uno slogan per i giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari? Che frase proporresti, e perché? Non abbiate paura di es- sere chiamati per una vita di servizio, di donazione. Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af MC © Af MC
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