Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2014

cro-mondo altamente organizzato, allo stesso modo nel nord del mondo, nelle periferie urbane e an- che negli anfratti e recessi del cen- tro delle città, le persone si aggre- gano e si organizzano anche se in condizioni abitative – ed è questo che genera la sensazione di disor- dine – che risulterebbero inaccetta- bili per la maggior parte della popo- lazione urbana. Come si legge nel dossier di Nigrizia sulle baraccopoli d’Italia curato da Fabrizio Floris nel 2010, il cuore del problema sta in ciò che si vede, o si crede di vedere, quando si passa ac- canto a questi insediamenti: «Vedi ladri, approfittatori, gente a cui piace vivere così perché è la loro cul- tura. Oppure vedi poveri da aiutare o l’effetto delle politiche pubbliche mancate, sbagliate...». Si vede, o si pensa di vedere tutto questo, cioè categorie, immagini, concetti: molto più raramente si vedono persone e si percepiscono quegli spazi non come errore del sistema o bruttura da nascondere ma come luogo che si è sviluppato all’interno di un pro- cesso storico nel corso del quale sono cambiate le condizioni econo- miche, la società e, di conseguenza, la città e i suoi spazi. Per farsi un’i- dea di questi meccanismi e processi storici è utile partire dal luogo che per definizione si trova al margine: la periferia. che sta là» e indica un punto sul muro che riveste la scarpata, quasi all’altezza della strada. Da qualche parte vicino al quel punto nel ce- mento deve esserci una signora, probabilmente dentro a un alloggio di fortuna che un muretto nasconde alla vista di chi passa sul lungote- vere, costruito con i cartoni e le la- miere recuperati da qualche disca- rica, o da un cantiere, o da un casso- netto dell’immondizia. Quella si- gnora forse sa che fine ha fatto il ciondolo perché anche lei, come l’uomo che cucina i peperoni, abita lì e vede tutto quello che nel corso di una giornata scorre, ritorna, si perde e si ritrova in quei venti metri in riva al fiume. La prima «rivelazione» che colpisce un osservatore delle molteplici forme dei cosiddetti insediamenti urbani informali è che la sensazione di disordine e di mancanza di logica che si può avere all’inizio è in larga parte sbagliata: così come uno slum (baraccopoli) di una grande metro- poli del sud del mondo, apparente- mente un agglomerato di puro caos, polvere e sporcizia, è in realtà un mi- Come nasce e che cos’è la periferia In uno studio dell’ Associazione na- zionale dei comuni italiani del 2008 si tenta un’analisi dell’origine e della natura delle periferie: le periferie, si legge, sono una «invenzione» della città moderna, che segue l’abbatti- mento – non necessariamente fisico – delle cinte murarie di difesa che le nuove tecniche di guerra (ad esem- pio l’uso del bombardamento ae- reo) hanno reso irrilevanti ai fini della protezione delle città. Il voca- bolario indica la periferia come «la parte estrema e più marginale, con- trapposta al centro, di uno spazio fi- sico o di un territorio più o meno ampio» e la locuzione «di periferia» nell’uso comune indica non solo la collocazione di un’area nel tessuto urbano, ma «aggiunge spesso una connotazione riduttiva, di squallore e desolazione». Non si tratta di un fenomeno nuovo: nasce infatti in Europa in concomi- tanza con una fase avanzata del pro- cesso di industrializzazione. In Italia, il fenomeno appare più in ritardo ri- spetto agli altri Paesi europei e nelle grandi città conosce un boom negli anni della ricostruzione successiva alla Seconda guerra mondiale. Nu- merose testimonianze di quell’e- poca raccontano delle condizioni di disagio e della mancanza di servizi e infrastrutture patite dagli abitanti di GENNAIO-FEBBRAIO 2014 MC 61 MC RUBRICHE # A sinistra: visione di Bogotà, capitale della Colombia; lo slum di Kibera a Nairobi, considerato uno dei più den- samente popolati del mondo. © The Seed, Nairobi 2008

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