Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2014

Money. Live better», «Risparmiare denaro. Vivere meglio» 3 : un rispar- mio e una vita migliore ottenuti a scapito o sulla pelle di altre per- sone. L’incendio alla Tazreen ne ricorda da vicino un altro, avvenuto oltre 100 anni prima a New York, sempre in una fabbrica tessile e sempre avendo come vittime giovani donne sottopagate. Quel giorno - era il 25 marzo 1911 - a New York morirono in 146. Le porte della Tringle Shirtwaist Company erano state chiuse a chiave, ma i proprietari fu- donna, Sheikh Hasina, in carica dal 2009 (ma che già governò tra il 1996 e il 2001). Fino al 1 dicembre 2013 il salario minimo (vigente dal novembre 2010) era di 3.000 taka ovvero 38 dollari al mese, uno dei più bassi del mondo 9 . Si consideri che in Cina esso è di 138, in Cambogia di 75, in Indonesia di 71, in Vietnam di 67, in India di 65. I dati sono del Wall Street Journal , una delle bibbie del capitalismo mondiale 10 . Per avere un termine di raffronto, abbiamo fatto un piccolo esperi- mento (senza pretese di scientificità, ma abbastanza indicativo). In un ipermercato di Torino abbiamo comprato una felpa made in Bangla- desh. Il capo d’abbigliamento era in offerta a 14,90 euro ovvero la metà del salario mensile di un’operaia tes- sile di quel paese. Identicamente dai francesi di Carrefour i vestiti marca Tex - maglie e tute made in Bangla- desh - erano in vendita tra i 10 e i 16 euro. Di solito, davanti a dati di que- sto tipo, il commento più comune è: «Ma lì la vita costa meno». È stato però calcolato che soltanto per co- prire il suo fabbisogno alimentare un’operaia tessile avrebbe bisogno di 2.350 taka al mese, che salgono a 11.000 se la donna ha una fami- glia 11 . Questo è lavoro? La domanda è re- torica, perché questo - certamente rono assolti da ogni responsabilità 4 . Come oggi lo sono o lo saranno quelli delle fabbriche bengalesi 5 . Una nota sull’etica (lo diciamo con amara ironia) delle multinazionali dell’abbigliamento. L’11 e 12 set- tembre 2013, a Ginevra, in un in- contro organizzato per creare un fondo di risarcimento per le vittime degli incidenti si sono presentati soltanto 9 marchi internazionali su 28 6 . Al 24 ottobre 2013 soltanto la Primark (gruppo angloirlandese) aveva pagato qualcosa alle vittime del Rana Plaza 7 . Intanto, a 10 mesi dalla tragedia, i 1.137 sopravvissuti della Tazreen ancora attendono una compensazione per la soffe- renza, le spese mediche, la perdita del lavoro. In Bangladesh su 5 milioni di lavora- tori del tessile l’80% è costituito da donne. Stando alla legge, l’orario di lavoro dovrebbe essere al massimo di 10 ore giornaliere, ma il più delle volte si arriva a 14-16 ore, 7 giorni su 7. Le donne non potrebbero la- vorare dopo le ore 20.00, ma arri- vano in realtà fino alle 22.00 o alle 23.00. Non hanno scelta: o accet- tano quelle condizioni o perdono il lavoro. Nelle fabbriche del Bangla- desh si riproduce la struttura pa- triarcale che è diffusa a ogni livello della società bengalese 8 . E questo avviene nonostante il primo mini- stro del paese asiatico sia una # Sopra : l’etichetta di una maglia «made in Bangladesh» distribuita dai francesi di Carrefour. A lato : donne bengalesi chiedono notizie delle figlie disperse nella tragedia del Rana Plaza. Pagina seguente : una tabella dei salari degli operai in alcuni paesi asiatici. © Munir uz Zaman / AFP, 2013 DIRITTI

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