Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2014

34 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2014 O ggi abbiamo bisogno di riscoprire questo ap- proccio che ci impone di cercare Dio «solo», ma ci chiede anche di non cercarlo «da soli». Papa Francesco ci spinge, con la forza di cui è capace il Vangelo quando deve imporre la verità, a percorrere strade affollate, a farci compagni di viaggio di chi cam- mina, a volte con fatica, i percorsi accidentati della vita. Non possiamo permetterci, come missionari del Van- gelo, di annunciare un Dio che non è in sintonia con la vita che viviamo, che non parla il linguaggio dei giovani, che non si interessa di chi sta per perdere il lavoro, che non viaggia sui gommoni di chi fugge dalla fame o dalla guerra, che non dice due paroline giuste nell’orecchio di chi, in nome dei diritti del proprio Ego , è disposto ad abbandonare ai margini della storia chi non riesce a tro- var posto nel suo progetto di vita. Come alcuni anni fa sosteneva giustamente Stephen Bevans, uno dei più importanti teologi contemporanei della missione, la figura del missionario può essere pa- ragonata a quella di un «cacciatore di tesori», che si reca in un posto carico della ricchezza della buona no- vella e l’annuncia, rendendosi però conto molto presto che le sue parole non evocano assolutamente nulla alle orecchie di chi lo ascolta, proprio perché non sono espresse con la lingua e con le forme culturali appro- priate. Scavare nelle culture per estrarre il tesoro na- scosto vuol dire essenzialmente incontrare l’essere umano nel suo contesto, agire con una mistica dagli oc- chi aperti, capace di una spiritualità concreta, atterrata nella vita di tutti i giorni. Vuol dire scavare non da soli, ma con la gente che ci è vicina, con la quale ci si incon- tra o ci si scontra tutti i giorni in famiglia, per la strada, al lavoro, o nelle nostre comunità ecclesiali. Dio vive nella storia, e la sua ricerca, fenomeno che nasce e ma- tura inizialmente nel cuore dell’essere umano, assume la sua forma più piena e compiuta quando viene condi- visa, con chi è di casa e con chi è lontano, con chi la pensa come noi e con chi può insegnarci qualcosa da un’esperienza diversa dalla nostra, con chi ci precede nel cammino della fede o con chi si aspetta da noi una parola di consolazione. Ancora oggi colpiscono l’immediatezza e la concretezza di Giuseppe Allamano, qualità che sintetizzano molto bene la cultura contadina delle sue origini e la menta- lità dell’uomo vissuto quasi sempre in città, capace però di spalancare le finestre della sua casa sugli oriz- zonti infiniti della missione. Pur con un raggio di azione davvero limitato (l’Allamano ha vissuto 46 anni della sua vita come rettore sempre dello stesso santuario), questo sacerdote della diocesi di Torino ha insegnato alle prime generazioni di missionari della Consolata ad allargare i paletti delle loro tende e spinge noi, figli e fi- glie del nostro tempo, a essere uomini e donne globali, planetari (per usare la definizione di un altro grande prete a noi più contemporaneo, Ernesto Balducci) desi- derosi di cercare Dio, ma anche di non limitare la ri- cerca solto ai posti dove pensiamo di trovarlo con cer- tezza . Ugo Pozzoli A d maiorem Dei gloriam … per la maggior gloria di Dio. In un periodo in cui la spiritualità è in- trisa degli insegnamenti di Sant’Ignazio di Loyola, Giuseppe Allamano fa suo questo motto del fondatore dei gesuiti per tracciare quello che per lui è un vero e proprio programma di vita. Durante le sue conferenze, importanti momenti di insegnamento e condivisione rivolti a missionari e missionarie in forma- zione, ne ripete varie volte le parole e il senso. In un mondo che ha celebrato nel recente passato «la morte di Dio» e che continua oggi a vivere e operare scelte come se Dio non esistesse, questo prete piemontese ci invita ad andare «in direzione ostinata e contraria» (prendo a prestito questa frase da una canzone di Fabri- zio De André), scegliendo Dio come unica ragione del nostro esistere. Solo Dios basta , diceva Teresa d’Avila, altra santa amata e citata da Giuseppe Allamano. Dio è sufficiente: lui soltanto è il termine ultimo del nostro tanto arrabattarci. Chiaramente il «cercare Dio soltanto» significa relativiz- zare i nostri bisogni, le nostre necessità e, perché no, al- meno ogni tanto, anche i nostri capricci. Un esercizio chiaramente in controtendenza in un’epoca in cui, al contrario, si relativizza Dio in nome di un individualismo sempre più sfrenato. Mi sembra importante l’accento che Giuseppe Alla- mano pone sull’azione di «cercare» Dio, condizione ne- cessaria per poterne fare poi la volontà. Dobbiamo im- parare a lasciare parlare il Signore, mettendoci, come lui stesso diceva, in un atteggiamento di «santa indiffe- renza», che non vuol dire farsi gli affari propri, quanto invece «mettere da parte il nostro ingombrante io» per cogliere la presenza di Dio lì dove egli vuole manife- starsi ed essere disponibili a fare ciò che da noi vuole, con determinazione e perseveranza. Il cammino di fede si genera nell’incontro con Cristo, in- contro che deve però essere continuamente alimentato per poter crescere, rafforzarsi, diventare energia vitale capace di muovere montagne (cf. Mt 17,14-20). Ognuno di noi conosce bene i mille terreni accidentati di cui è formata la propria esistenza, in cui il seme della Parola che cade non trova le condizioni per dare frutto. La vita di fede è fatta di un continuo procedere alla ri- cerca del terreno fertile e, una volta trovata la terra buona questa va curata, coltivata, concimata e difesa da chi potrebbe rovinarla. Il missionario e, più in gene- rale, il cristiano non può permettersi di smettere di cer- care Dio e la sua volontà lì dove vive, ogni giorno della sua vita. Sicuramente Giuseppe Allamano è un uomo di pre- ghiera. Dio lo cerca nel silenzio del Santuario della Con- solata, nel «coretto» da cui può contemplare in un’u- nica occhiata i due amori della sua vita: la Madonna e l’Eucaristia. Tuttavia, la straordinaria capacità che gli viene riconosciuta nel rispondere ai bisogni delle per- sone o delle situazioni che si trova davanti, dimostra come Dio gli si presenti anche in tanti altri modi: nei drammi personali ascoltati nel confessionale, nelle soli- tudini e nelle sofferenze delle persone che assiste nel suo apostolato, nelle lettere e nei diari dei suoi missio- nari e missionarie che, da lontano, gli raccontno le gioie e le difficoltà della vita in missione. Pillole « Allamano»

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