Missioni Consolata - Dicembre 2013

In Burkina Faso esiste una frat- tura sociale tra la città e la cam- pagna? «Non sono scompartimenti sta- gni. C’è chi vive in città, ma ha la mentalità rurale. Poi i legami fa- migliari sono tali per cui il citta- dino resta in osmosi permanente con i parenti in campagna. Un funzionario non può isolarsi ri- spetto alla famiglia al villaggio. Nonostante questo, ci sono pro- blemi. Dovremmo fare di più per accompagnare i giovani. C’è anal- fabetismo, ignoranza, Aids. Tutto questo ha delle conseguenze ne- faste per la vita dei giovani. Poi il problema della mancanza di la- voro. Chi è in campagna è più sta- bile di chi vive in città e non ha nulla da fare. La tentazione è il banditismo. Ci sono delle nuove povertà in città alle quali dob- biamo far fronte. I mendicanti, i bambini di strada. Stiamo cer- cando di organizzarci per queste situazioni che non troviamo in vil- laggio, dove c’è più solidarietà fa- migliare. La Chiesa non è sempre attenta o attrezzata. Ma se non è la Chiesa dei poveri non è la Chiesa di Gesù Cristo. Dobbiamo avere occhi e cuore aperti e at- tenti a queste situazioni vissute da una grande parte della nostra popolazione. In campagna c’è una grande mancanza di servizi di base, come l’acqua potabile. Ma ci sono famiglie in città che non possono avere il loro pasto ogni giorno e l’acqua nei quartieri pe- riferici non c’è. Occorre vedere caso per caso». I vescovi del Burkina parlano della necessità di una trasfor- mazione profonda della società. Qual è il ruolo della Chiesa? «La scuola è il luogo della tra- sformazione della mentalità. I media, la televisione: la gente vede immagini da tutto il mondo con le antenne paraboliche. Come Chiesa cerchiamo di es- sere al servizio di una società, con queste grandi sfide. Non ab- biamo la pretesa di risolvere tutti i problemi, ma vogliamo essere presenti, un po’ come il buon sa- maritano che ha pietà del povero ferito al bordo della strada. Ci sono molte donne e uomini feriti al bordo della strada, e cer- chiamo di portare quello che pos- siamo. A livello di scuole prima- rie, secondarie e università. Ab- biamo due università cattoliche (Ouagadougou e Bobo-Dioulasso) e un istituto superiore a Kaya. Nella sanità abbiamo l’ospedale Paul VI che ha difficoltà, ma rende servizio alla popolazione. Nelle parrocchie ci sono i comi- tati di salute per la visita dei ma- lati. Inoltre esistono molte asso- ciazioni parrocchiali per aiutare i meno abbienti. Tutto questo è modesto e insufficiente rispetto all’ampiezza delle sfide». Come vede l’impegno dei catto- lici in politica in Burkina Faso? «È complesso. Due anni fa ho fondato la parrocchia dell’univer- sità. Ha il compito di seguire le scuole superiori, circa 100 sulle 300 di Ouaga, le scuole professio- nali e le università. Io credo nella pastorale dei gruppi sociali, ov- vero la pastorale tra pari. I medici sono organizzati con i Camilliani, ci sono gli uomini d’affari catto- lici, i banchieri, i parlamentari e un’organizzazione parrocchiale che forma l’élite intellettuale alla dottrina sociale. L’idea è di contri- buire alla formazione dei decisori della nostra società». Perché parlate di giustizia, ri- conciliazione, pace? «Il riferimento è al Sinodo per l’Africa del 2009. Queste restano le grandi sfide per tutta l’Africa. Anche per il Burkina Faso: ab- biamo bisogno di una società più riconciliata, abbiamo la nostra storia, con la rivoluzione, le ferite profonde, e non è sicuro che esse siano guarite. Se c’è stata una reazione forte dei vescovi ri- spetto alla creazione del Senato è per salvaguardare la pace so- ciale: se un’istituzione deve es- sere creata e far scoppiare l’in- sieme della società, qual è il bene di questa istituzione? È una priorità?». Marco Bello DICEMBRE 2013 MC 65 MC ARTICOLI quello dell’Africa del Nord, dove nella stessa famiglia non si tollera la conversione, mentre qui si ac- cetta che l’altro sia differente, di un’altra religione». Il Burkina può essere conside- rato una frontiera per l’integra- lismo islamico? «Ci rendiamo conto che l’equili- brio è fragile: quello che succede nei paesi vicini potrebbe anche arrivare qui: al Qaeda, Ansar Dine, Boko Haram ( vedi MC no- vembre 2012 ). Anzi, è possibile che ci siano già. Dobbiamo es- sere molto vigili e lavorare in- sieme a livello delle diverse con- fessioni e delle autorità per pro- muovere una cultura di tolle- ranza, a partire dalla scuola e anche dalle prediche. La rea- zione dei giovani agli auguri degli imam per Natale ha avuto un ri- svolto positivo, perché ha cau- sato una presa di coscienza nei musulmani, e nelle prediche hanno parlato a favore della tol- leranza e contro l’integralismo. Siamo di fronte a delle sfide im- portanti, non solo a livello di Burkina, ma a livello mondiale. Occorre coordinare gli sforzi di tutti per una cultura di tolle- ranza, come direbbe papa Gio- vanni Paolo II: “La civiltà dell’a- more”. Se non arriviamo a ri- spettarci di più, amarci, vivere come fratello e sorella, sarà una catastrofe. E in questo la Chiesa ha un ruolo unico perché ha un messaggio insostituibile per il bene dell’umanità: il Vangelo». # Dall’alto in basso : un atelier di sartoria nella capitale. | Artigiano confeziona collane per le preghiere islamiche. | Giovane mamma al lavoro in un campo di riso.

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