Missioni Consolata - Dicembre 2013
DAI LETTORI Cari mission@ri DICEMBRE 2013 MC 5 dualismo assoluto per cui uno risponde solo a se stesso (al suo «dio»). Missionari che si sposa- no? Onestamente è la pri- ma che sento parlare di missionari che si devono sposare, per non essere diversi. Da secoli i missio- nari «sono diversi» e non solo per il celibato. Sono diversi per il colore della pelle, per la lingua che non conoscono, per il mo- do di vivere e «anche» perché non si sposano. Nella storia, più di uno ha pagato con la vita la fe- deltà al celibato che lo rendeva «diverso» e an- che pericoloso agli occhi di certi popoli. Che poi ci siano dei missionari che abbiano amato una donna, generando anche dei figli, non dovrebbe stupire nes- suno, eccetto coloro che li ritengono degli automi programmati e non degli uomini in carne e ossa. Ma che questa sia la situazio- ne normale e accettata («dieci donne a testa»), è tutto da provare. La realtà è ben diversa. Quando si sentono voci sui preti, bi- sognerebbe avere più senso critico, più amore della verità (come dice an- che lei), tanta misericordia e un po’ di autocritica. Fede da poco. L’ultima co- sa che vogliamo fare è sottovalutare la fede delle persone e la grazia di Dio. La fede non è mai «da po- co». È vero, scrivendo si rischia di generalizzare ed enfatizzare. Anzi, a volte si deve alzare il tiro per rial- linearci alle esigenze del- la Parola, quella vera, senza diluirla nel «mini- mo comun denominatore» della mediocrità del «fan tutti così». Ma il cuore del- le persone solo Dio può giudicarlo. SCRIVETECI! Che problema avete? Non vi cerca più nessuno? A volte mi verrebbe da scri- vervi, fosse anche un di- sappunto, ma non ne ho il tempo, poi ne passa trop- po e infine penso, «tanto a voi cosa ve ne frega della mia opinione? È comun- que in contrasto con la vo- stra, perché scrivere?». Posso dirvela una cosa? Finché non ho letto tutto il dossier della rivista di ot- tobre, avevo un’angoscia dentro, «una tristezza da spararsi», meno male che nelle ultime due pagine mi tirate su il morale. So che la mia vita da cristiana non è perfetta e me lo spiacci- cate in faccia come una sberla, il cammino lungo e faticoso della conversione non finisce con l’incontro con Cristo – c’è la sequela, la coerenza, e questo è un altro punto dolente. [...] Con mia nipote, classe 1981, ho provato a fare «proselitismo» (se così si può dire) richiamandola al suo battesimo. La reazione è stata violenta. «Zia ba- sta. Siete tutti bigotti, cre- do in Dio e non nella chie- sa! La verità la sto cercan- do, e non l’ho ancora trovata». A me non resta che piangere e pregare per lei e tanti altri familia- ri. È riduttiva la fede vissu- ta in casa? Intendo dire: la crisi m’impedisce di pren- dere l’auto ogni giorno per andare a messa, e a volte gli orari non combaciano con il mio tempo libero. Al- lora mi metto in casa da- vanti al crocefisso. Ma se- condo voi è sempre una fe- de da poco, da gente tiepida, troppo prudente, non azzardata, accomo- dante, pigra, inetta fino al rigurgito di Cristo. Che dire di altri sacerdoti che ho incontrato: alcuni troppo hard e altri rigorosi fino al rifiuto dell’assolu- zione. […] Adesso capisco perché la Madonna a Medjugorje insiste con il pregare per i sacerdoti. Siete sotto attacco? O lo siete sempre stati nel mi- rino del Nemico? Mi piace molto anche quando Papa Francesco chiede di pre- gare per lui. Ciò che vorrei chiedervi è questo: una conferma o u- na smentita. Mi han detto che ci sono dei missionari cattolici che sono costretti a sposarsi, per non essere diversi dagli altri, sennò non sono credibili nell’an- nuncio. Ho obbiettato di- cendo che vivranno da fra- telli e sorelle! La risposta è stata: «No, no! Fanno fi- gli e anche tanti. Dovreb- bero essere in Oceania». Me ne sto zitta poiché non conosco tutto il mondo missionario [...]. Un’altra cosa volevo dirvi. Un no- stro amico circa dieci anni fa fece un’esperienza vo- cazionale in Ecuador con dei missionari. Ne tornò sconvolto perché ci disse che là ogni prete ha mini- mo dieci donne a disposi- zione. Noi gli abbiamo det- to: «Esagerato!». Risulta- to, lui non frequenta più la chiesa, obbiettando che è un moralismo inutile, un’i- pocrisia lampante. Avete il coraggio di dire la verità? Caspita, se lo tro- vate avete un fegato da vendere! Cordiali saluti. Piccola figlia della Luce, San Zenone degli Ezzelini, 13/10/2013 Gentile lettrice, grazie di averci scritto. Provo a essere breve. Scrivere. Ci sembra un modo importante per una comunicazione a due vie, non autoritaria, come ri- schia comunque di essere quella stampata. Il diritto al dissenso è importante e una contestazione argo- mentata e intelligente ci aiuta ad approfondire idee e argomentazioni o ci ob- bliga a spiegarci meglio. Sacerdoti. È pregare per i sacerdoti è bello ed es- senziale, perché il sacer- dote ha bisogno del soste- gno della comunità. L’or- dinazione non rende il sacerdote invulnerabile al peccato, inattaccabile dal- la tentazione. Il sacerdote è e rimane sempre un uo- mo e come tale percorre un cammino di conversio- ne continua, rinnovando ogni giorno il suo sì a Dio. Come uomo può cadere, sbagliare ed essere con- traddittorio. Qualche volta può cercare la popolarità facendo il moderno e il di- sinibito, altre volte può u- sare la tradizione e l’in- transigenza senza miseri- cordia come scudo alle sue paure. Ma la maggio- ranza vive con umiltà («ti- more e tremore» scrive- rebbe Kierkegaard) il pro- prio stato sapendo che il Salvatore è uno solo: Gesù Cristo. Certo, il cammino del prete è più impegnati- vo di quello dei semplici cristiani, perché se un sa- cerdote cade, non è solo lui a cadere, ma fa male a tanti. «Nel mirino del Ne- mico», dice lei. È vero. E il Nemico si serve anche di tanti buoni cristiani che invece di sostenere i loro sacerdoti, li criticano, cre- dono a mille dicerie, gene- ralizzano e malignano. E anche di quelli che confondono la Chiesa col prete, si dimenticano che per il battesimo anch’essi sono Chiesa diventando giudici impietosi che si di- fendono accusando di «bi- gottismo, ipocrisia e falso moralismo». Purtroppo non solo è più facile far così, tirandosi fuori «dal gruppo», ma il nostro si- stema stesso di vita oggi incoraggia questo indivi-
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