Missioni Consolata - Dicembre 2013
36 MC DICEMBRE 2013 OSSIER L o contattiamo via telefono mentre viaggia in treno per raggiungere una scuola supe- riore in Liguria. Da quando si è dimesso dalla magistratura, Gherardo Colombo spende molte delle sue energie e giornate parlando con giovani e ragazzi di tutta Italia di «regole» 1 , di cittadinanza responsabile. Ogni tanto la voce cordiale che ci parla sparisce nelle gal- lerie insieme alla linea telefonica. Ma il messaggio è chiaro: non si può educare al bene attraverso il male. È necessario trovare una strada alternativa alla pu- nizione e alle pene tradizionali, perché queste, la car- cerazione in primis , in molti casi non sono condivisi- bili sul piano ideale e non sono efficaci sul piano pra- tico. L’affabilità della voce di Colombo s’intona perfet- tamente col ricordo di quell’uomo alto e riccio- luto, in abbigliamento ca- sual, che nel maggio 2012 presentava il suo volume Il perdono responsabile al Salone del libro passeg- giando tra il pubblico e cedendo il microfono a chiun- que volesse intervenire. In quell’incontro, così come nelle pagine del libro, l’ex magistrato ha illustrato con semplicità l’opposizione tra due modalità di ri- sposta ai reati, tra due tipi di giustizia: quella «retri- butiva» e quella «riparativa». La prima è quella più comune, diffusa a ogni livello, dall’educazione dei figli alle relazioni internazionali: la punizione è la giusta conseguenza della trasgres- sione. Alla base della giustizia retributiva c’è l’idea che la persona non ha valore in sé , ma solo in base ai suoi comportamenti «buoni» o «devianti»: se fa bene riceve il premio, se fa male la punizione. Nella visione retributiva, la sofferenza della pena viene inferta per insegnare al colpevole l’obbedienza. Ma chi obbedi- sce, sostiene Colombo, non è completamente respon- sabile delle proprie azioni. La pena quindi non crea responsabilità, ma al contrario la distrugge. Le per- sone seguono le regole non perché le condividano, ma per evitare la punizione, o meritare il premio. Se una regola non è interiorizzata, c’è il forte rischio che essa verrà violata non appena mancherà il controllo, cioè il timore di essere «beccati». La giustizia «riparativa» fa capo, invece, a una cul- tura in cui la persona vale in quanto persona , ha di- gnità - anzi, è dignità - indipendentemente dai suoi comportamenti buoni o cattivi. È la cultura (cui s’i- spira la Costituzione italiana e la Dichiarazione Onu sui di- ritti dell’uomo) per la quale non è la persona a essere fi- nalizzata alla realizzazione dell’ordine, ma è l’ordine a es- sere finalizzato alla realizza- zione della persona. Nella vi- sione «riparativa» il centro è la persona, la sua di- gnità (che rimane integra anche dopo aver compiuto un crimine), la ricerca dell’inclusione, il recupero, la riconciliazione. E le esperienze di giustizia riparativa realizzate nel mondo dimostrano che l’alternativa al carcere è più efficace anche per la sicurezza sociale. In più, nella prassi retributiva le vittime vengono in genere dimenticate, perché l’attenzione è esclusiva- mente sul reato, mentre nella visione riparativa la vittima, insieme alla comunità (anch’essa vittima) e al reo (anch’egli vittima di se stesso), viene coinvolta in prima persona e può davvero trovare un ristoro che non sia la semplice e svilente realizzazione dell’i- stinto di vendetta, che si esaurisce velocemente la- sciando il vuoto ancora più ampio. Come entra il tema del perdono in tutto questo? In UN DIALOGO CON GHERARDO COLOMBO IL PERDONO RESPONSABILE DI L UCA L ORUSSO Si può educare al bene attraverso il male? Partendo da questa domanda l’ex magistrato Gherardo Colombo illustra l’inefficacia della risposta punitiva alle trasgressioni. Per la difesa e la promozione della dignità della persona (di chiunque, anche dei colpevoli e delle loro vittime) sono più appropriati e più efficaci, rispetto alla carcerazione, i programmi della cosiddetta giustizia riparativa, che prevedono l’incontro e la responsabilizzazione di rei, vittime e società. Abbiamo chiesto a Colombo di parlarci del suo attuale «lavoro» e del tema del perdono responsabile al centro di uno dei suoi ultimi libri. La libertà non può essere limitata, salvo che in un unico caso: quando ciò serve a consentire la libertà altrui. “ ”
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