Missioni Consolata - Novembre 2013

NOVEMBRE 2013 MC 9 Cari mission@ri mente in crisi per un gra- ve problema affettivo che l’aveva molto provato e turbato. Padre Celio non l’aveva mai visto prima, eppure quando i loro sguardi si incontrarono, quasi senza saperlo, pa- dre Celio trovò per lui le parole giuste al momento giusto, per un conforto al- l’anima. Questo perché padre Celio aveva una ca- pacità di intuizione, di sintonia profonda, con il dolore dell’altro, che tra- spariva dallo sguardo, dal viso, dall’atteggiamento, e sapeva offrire sponta- neamente solidarietà e conforto. Mi sembrò in quel momento un’incar- nazione dello starez Zosi- ma di Dostoevskij nei Fra- telli Karamazov: quella stessa luminosa saggez- za interiore, irradiava, te- rapeutica, dalla sua per- sona. Quel ragazzo era stupito, frastornato, me- ravigliato: nessuno dei compagni di viaggio era riuscito ad essergli così vicino. Questo era padre Celio, e per questo non possiamo non onorare il centenario della sua nascita, facen- done memoria con affetto e riconoscenza. La famo- sa frase, che ripeteva sempre, «meglio sbaglia- re amando che non ama- re», non era uno slogan, ma davvero una mirabile sintesi della sua visione del mondo e della missio- narietà: intessuta e ricca di umanità, di compassio- ne, di apertura, anche di un po’ di ironica imperti- nenza, di anticonformi- smo. Perché l’amore per gli esseri umani lo porta- va, se necessario, a in- frangere le regole, le nor- me, le consuetudini, per salvaguardare, rispettare, onorare, la dignità del- l’uomo in ogni essere u- mano, immagine di Dio. Baba Celio, asante sana, kwa upendo; kwaheri Niumbani (p. Celio, tante grazie, con affetto; arrive- derci a Casa). Maria Rosaria Salvini 24/08/2013 per sempre con l’Africa nel cuore), come un dono inatteso. Padre Celio Regoli, classe 1913, era nato il 22/2, so- lo dieci giorni dopo Dos- setti, altra figura di riferi- mento storico, politico, e- tico, religioso. D’entrambi ricorre quest’anno il cen- tenario della nascita. In- contrai padre Celio il ter- zo anno consecutivo dei miei campi estivi studen- teschi a Wasa; era l’ago- sto 1981. Era una persona di gran- de affabilità, simpatia, con uno straordinario do- no di ironia. Durante i pranzi intorno ai lunghi tavolati ricoperti di kiten- ge colorate, spesso si effondeva volentieri in racconti della sua lunga vita missionaria, ultima- mente in Tanzania, ma prima in Etiopia, durante la seconda guerra mon- diale, come cappellano, poi in Mozambico e in al- tri paesi. Tra cui il Brasi- le. I suoi racconti rivela- vano un grande amore per le popolazioni africa- ne incontrate. «Gente bellissima» diceva sem- pre degli Etiopi, così lon- gilinei e con una innata e- leganza negli atteggia- menti. Raccontava che i rapporti con gli Inglesi, di cui gli Italiani erano pri- gionieri, non erano invece sempre ispirati dalla classica imperturbabilità, anzi gli ufficiali britannici attuavano apposta piccole prevaricazioni per umilia- re. Con bonaria ironia pa- dre Celio raccontava co- me si cavava d’impaccio con disinvoltura. Il suo narrare era allegro e avvincente e spesso ci faceva ridere di gusto così tanto che alla fine i mu- scoli facciali non resiste- vano all’eccessiva tensio- ne e cominciavamo a piangere. Scoprimmo co- sì che «piangere dal ride- re» non era una metafora ma una legge fisica. Molto emozionanti anche i racconti sul Mozambico, durante la colonizzazione portoghese. L’ultima po- tenza a cedere le colonie fu proprio il piccolo, isola- to, Portogallo, che af- frontò nelle colonie lun- ghe e sanguinose guerre di liberazione, concluse grazie al colpo di stato dei militari portoghesi, esau- sti dei massacri, il 25 a- prile 1974. In Portogallo fu chiamata «la rivoluzio- ne dei garofani», perché i militari li ricevettero dai cittadini esultanti e li in- nestarono nei loro fucili nella sfilata del trionfo. Subito dopo la conquista della libertà i nuovi go- vernanti aprirono le trat- tative per l’indipendenza delle colonie. L’esperien- za di padre Celio in Mo- zambico però era prece- dente, durante la dittatu- ra, ottusa, oppressiva, volta ad annientare la di- gnità dei popoli sotto- messi. Ricordo con parti- colare emozione quello che padre Celio diceva ri- guardo alla confessione: era lui a invitare gli Afri- cani a esprimersi nella loro lingua, che egli aveva studiato con amore se- condo la tradizione dell’i- stituto della Consolata. I cristiani neri del Mo- zambico invece cercavano di parlare in portoghese perché i colonialisti non volevano che essi usasse- ro la propria lingua, che definivano con scherno, «lingua di scimmie». Per tutti questi motivi pa- dre Celio non amava mol- to i Portoghesi e poteva- mo ben capirlo. Anch’io la pensavo così e avevo sempre appoggiato le va- rie lotte di liberazione, conoscendone anche le tragedie, come gli assas- sinii di alcuni leaders ca- rismatici, ad esempio i fratelli Cabral, o le espe- rienze di alfabetizzazione e educazione popolare con Freire in Guinea Bis- sau e Mozambico. Non a- vrei mai immaginato che proprio un padre porto- ghese conosciuto l’anno prima proprio a Wasa e compresente anche con padre Celio, sarebbe di- ventato, nel tempo, il più caro tra i miei amici, pa- dre Luìs Tomàs Gomes, che quest’anno celebra felicemente il cinquante- simo di ordinazione: un missionario del Concilio! Ma le vie del Signore sono piene di sorprese! Nel 1982 tornai in Tanza- nia, e con il gruppo an- dammo anche a visitare l’ospedale di Tosamagan- ga. Lì ritrovammo padre Celio, ricoverato per una breve degenza. Non di- menticherò mai quell’epi- sodio perché avvenne qualcosa di veramente straordinario. C’era tra noi un ragazzo particolar- © Af. MC/L. Anataloni 1971

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