Missioni Consolata - Novembre 2013
80 MC NOVEMBRE 2013 Fu in questo periodo quindi che decidesti di di- ventare frate domenicano? Proprio così. Questo grande Ordine della Chiesa, fon- dato da San Domenico di Guzman, che ha il carisma della predicazione del Vangelo al popolo e che ha in San Tommaso d’Aquino il suo esponente più illustre, mi attirava proprio perché aveva come caratteristica quella di non lasciare nessuno nell’ignoranza. Anzi, in un certo qual modo, i Domenicani si rivolgevano pro- prio a quella fascia e categoria di persone alla quale anch’io appartenevo, per farla diventare soggetto pri- vilegiato dell’annuncio evangelico. Fu per te facile entrare nell’Ordine dei Dome- nicani? Il colore della mia pelle non mi aiutava certamente. Tanto ai neri, quanto agli indigeni, come ai meticci, ai miei tempi non si potevano dare gli Ordini Sacri; ma io non volevo diventare sacerdote per compiere chissà quali grandi opere, più semplicemente, volevo consa- crarmi al Signore nell’umiltà e nel nascondimento, cercando di vivere come Lui aveva vissuto a Nazareth, cioè aiutando in casa e contribuendo al mantenimento della famiglia. E fu così? Fin dal momento in cui all’età di quindici anni entrai nel convento domenicano di Lima, mi sentii liberato completamente, in quanto ero disponibile a una con- sacrazione totale per gli altri. Mi furono affidati la cura della portineria e i lavori più umili di pulizia della casa e della cucina. E mentre svolgevo queste mie mansioni, la mia immaginazione spaziava continua- mente contemplando i misteri divini, per cui a livello interiore vivevo un’esperienza straordinaria d’intimità con il Signore. Allo stesso tempo, svolgendo attività ripetitive, ero stimolato con la preghiera del Rosario a innalzare la mia mente a Dio, il che aumentava (non scandalizzatevi) la mia allegria e la mia voglia di do- narmi sempre più alla mia comunità e a coloro che vi ricorrevano per avere un aiuto. E i Padri domenicani non si accorgevano di queste tue esperienze mistiche? Eh sì. Dopo qualche tempo si accorsero di queste mie singolari particolarità, che io considero doni del Si- gnore. Mi tolsero dalla condizione subalterna, che vi- vevo fin dall’inizio del mio ingresso, e mi accolsero al- l’interno dell’Ordine dei Predicatori come fratello coo- peratore. Questo ti facilitò nel tuo impegno verso i po- veri, non è vero? C’è da dire che in quel periodo in Perù, come in tutti i territori conquistati dalla Spagna, era ancora vivis- simo il ricordo delle efferatezze che i conquistadores avevano commesso. Molte persone quindi avevano perso ogni cosa e vivevano in estrema povertà, così come coloro che erano afflitti da varie malattie si diri- gevano ai conventi, sicuri di avere almeno un pezzo di pane o una bevanda calda. E puoi ben immaginare che, avendo io sofferto la condizione di emarginazione per un verso e di razzismo per un altro, ero molto sensibile verso i poveri che accorrevano a noi. Non ti limitavi a dare l’elemosina? No. Mi diedi da fare per avviare delle opere assisten- ziali e istituzioni permanenti di promozione sociale e culturale, destinate a durare nel tempo. Andavo dai nobili e con franchezza chiedevo aiuti e risorse, non per me, ma per quelli più svantaggiati. Praticamente non c’era casa di aristocratici che non riceveva la mia visita e dalla quale me ne andavo a mani vuote. Il coraggio non ti mancava allora? Quando non chiedi per te, ma chiedi per gli altri, puoi andare dal Viceré, dall’Arcivescovo, dal Governatore e da tutte le famiglie abbienti, per avere quello che bi- sogna ridare ai poveri per giustizia e non per carità. Mettevo tanta forza di convinzione nelle mie parole, che molti dei nobili si sentivano privilegiati per essere stati scelti come collaboratori di fra Martin de Porres! Quando arrivò la peste in Lima ti desti da fare per lenire le sofferenze di coloro che erano colpiti da quella grave malattia. Curai tutti i miei confratelli e nessuno di loro morì per il terribile morbo, così come andavo per la città per dare conforto a chi nelle proprie case, sui propri giaci- gli, affrontava la fase terminale della malattia. Grazie a Dio questa tragica situazione passò e si ritornò alla vita normale. È vero che fondasti il primo collegio per bam- bini poveri a Lima? Di per sé risulta essere il primo collegio a Lima, ma nei fatti è il primo collegio del Nuovo Mondo. L’istru- zione ai figli di coloro che erano esclusi dai benefici della colonia non poteva essere negata. Insieme a al- cuni confratelli che avevano a cuore l’istruzione del- l’infanzia, diedi origine e compimento a quest’opera che già i miei contemporanei giudicavano meritoria e che con l’andare del tempo si è rivelata profetica. Quindi non sei per nulla un santo uingenuo e svagato, con la testa fra le nuvole, che racco- manda ai topolini di non fare troppi danni in dispensa e che vive in semplicità facendo i la- vori più umili? Questo è quello che fa comodo a una presentazione della mia vita secondo canoni agiografici, che presen- tano i santi sempre come delle persone che vivono sulle nuvole e non creano problemi. Papa Pacelli che se ne intendeva di queste cose volle invece che fossi proclamato «protettore della Giustizia Sociale», un ti- tolo che mi fa arrossire e inorgoglire allo stesso tempo, ma che rende merito a tutto ciò che io feci du- rante la mia vita. San Martin de Porres, colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter cano- nico, iniziato nel 1660, avrà una lunghissima sosta. Sarà Giovanni XXIII a proclamarlo santo, il 6 maggio 1962. A distanza di anni dalla sua canonizzazione, la sua figura si erge, semplice e amorevole, come pro- totipo del liberatore, anche se egli viene raffigurato non con la spada in mano, bensì nell’atteggiamento più umile e servizievole di chi, usando con maestria scopa e ramazza sa mettersi al servizio dei più po- veri e bisognosi. Don Mario Bandera, Direttore Missio Novara 4 chiacchiere con...
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