Missioni Consolata - Novembre 2013
San Martin de Porres (Lima, Perù, 1579-1639) appartiene a quella generazione di santi latinoa- mericani che, al di là delle efferatezze dei conquistadores, furono attratti dal messaggio del Vangelo e dalla tenerezza di Cristo. Egli mise in pratica tutto ciò che il maestro di Nazareth aveva insegnato, a partire dalle condizioni sociali, dallo stato di vita e dalla situazione storica in cui si trovava. Il santo mulatto peruviano si distinse praticando accoglienza e carità e, con modi discreti ma incisivi, rivendicò giustizia ed equità per gli emarginati del Perù coloniale. Egli de- dicò tutta la sua vita ai poveri. Pio XII nel 1945 lo proclamò patrono della Giustizia Sociale e da Giovanni XXIII venne elevato alla gloria degli altari il 6 maggio del 1962, mentre Paolo VI lo nominò patrono dei barbieri e parrucchieri. 16. SAN MARTIN DE PORRES Martin, che bello avere a che fare con santi come te. Ci si sente subito a proprio agio con una persona solare e gioviale come sei stato lungo tutta la tua vita in Perù. Il dono del mio carattere mi fu di grande aiuto fin dal- l’inizio della mia esistenza, che non fu né semplice né facile, ma grazie a mia mamma imparai come sorri- dere al mondo nonostante le avversità che ti crollano addosso. Già, dimenticavo, fin dalla nascita non ti fu- rono risparmiate difficoltà e incomprensioni. Infatti sono figlio di Juan de Porres, un aristocratico spagnolo approdato in Perù in cerca di fortuna, e di Ana Velazques, una ex schiava di origine africana. Se- gnato perciò fin dal primo giorno che venni alla luce come un bambino che di fronte alle leggi del Vice- reame spagnolo, risultava illegittimo, nato cioè fuori dal matrimonio cristiano, in più ero diverso in quanto mulatto. Questa situazione creò in me un mestizaje (meticciato) fra razze e culture diverse. Anche la burocrazia pesò non poco sulla tua vita. Non è vero? Certo. Fui registrato nella Chiesa di San Sebastiano di Lima come «figlio di padre ignoto» perché mio padre non volle riconoscere né me né la mia sorellina. Ci vollero diversi anni e una sua permanenza in Ecuador perché al ci riconoscesse come carne della sua carne. Quindi si può dire che tutto si appianò? Direi di sì, anche dopo qualche anno mio padre fu no- minato governatore del Panama e ci lasciò a Lima con la mamma alla quale, però, aveva dato le risorse ne- cessarie per le nostre esigenze di vita. Rimasto solo con tua mamma e tua sorella, che facesti nella Lima coloniale, capitale del Vicereame del Perù? Mia mamma mi mise a bottega da un barbiere perché imparassi il mestiere. I barbieri a quei tempi erano anche un po’ dentisti e chirurghi e ciò che appresi in quella bottega (tagliare i capelli, fare la barba, strap- pare i denti, incidere bubboni infetti, ecc.) mi tornò molto utile in seguito, quando dovetti risolvere un’infi- nità di casi che necessitavano del medico, che ovvia- mente non era possibile trovare. E io con le cono- scenze che avevo acquisito mi trovai a operare in un settore dove non c’era molta concorrenza. Avevi pertanto un avvenire garantito con que- ste tue nozioni sanitarie e praticità «chirurgi- che». Sì, però fare il cerusico, il barbiere o il cavadenti non mi appagava fino in fondo, sentivo dentro di me un ri- chiamo molto più intimo e suggestivo. Il Signore lavo- rava nella mia coscienza e rendeva il mio cuore sem- pre più inquieto. Ogni giorno che passava capivo sem- pre più che mi voleva totalmente per Lui. 4 chiacchiere con... a cura di Mario Bandera
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