Missioni Consolata - Novembre 2013

NOVEMBRE 2013 MC 7 Cari mission@ri tesa, e mi aveva risposto un vostro confratello, an- che lui col mal di pancia per questa scelta, che cercava di spiegare le ra- gioni storiche (l’ex istituto S. Paolo di Torino, poi con- vogliato in Banca Intesa, e i legami storici che Mis- sioni Consolata aveva con questo). Tuttavia sono ri- masto molto più perples- so quest’anno per il vostro riferimento, come conto di appoggio per donazioni, a Unicredito, banca molto più armata di Banca Inte- sa e soprattutto «recidiva» perché nonostante le belle dichiarazioni di tirarsi fuo- ri dal commercio di armi, nel rapporto di quest’anno è tornata prepotentemen- te alla ribalta, diventando la terza banca armata as- soluta per entità di com- messe e transazioni. In proposito vi invito al si- to banchearmate.it o a leggere l’articolo di Nigri- zia di settembre «propa- ganda armata» ove, oltre a pubblicare la tabella delle banche armate dice: «Un’amara sorpresa al terzo posto. Mandando al macero tutti i buoni inten- ti di uscire dal business, ritorna prepotentemente in pista il gruppo Unicre- dito che dai 178 milioni di euro del 2011 è salito fino ai 540,8 milioni di euro del 2012…». Per cui la mia difficoltà nel capire cosa è giusto fare è grande... Certo non vi chiedo di ap- poggiarvi alle Mag o a Banca Etica che non sono in grado di fornire tutti i servizi di cui avete biso- gno ma, con tutte le ban- che che ci sono in giro, proprio le peggiori dove- vate pescare? Oltretutto anche Ubi Banca sembra dentro la lista nera... Non so se a Natale (quan- do è nato Qualcuno di cui le banche hanno presto cancellato memoria) me la sentirò di utilizzare Missioni Consolata Onlus per destinare i soldi a pa- dre Antonello Rossi, e questo mi dispiace. Pre- ferirei vedere un cambia- diate la strada da Li- longwe, dopo trecento chilometri c’è un ponte, girate a sinistra e poi è tutta dritta fino a Mbeya», ci disse. Aveva visto quei luoghi diversi anni prima, ma ancora si ricordava a memoria la strada. «Arri- vate anche in Uganda? Provateci, ne vale la pena. Io ci sono stato, una volta ho intervistato Janet, la moglie di Museveni...» [vedi Missioni Consolata di gennaio 1994, Uganda, vedere l’Africa con occhi africani , pagg. 42-46]. Yoweri Museveni, il presi- dente ugandese che negli anni Ottanta aveva guida- to i ribelli contro il suo predecessore, Milton O- bote, ottenendo una schiacciante vittoria: a me, che avevo seguito le notizie sulla guerra nella Repubblica Democratica del Congo fra il 1997 e il 2002 e ne avevo scritto, Museveni appariva quasi un personaggio di fanta- sia, una sorta di geniale e crudele burattinaio che muoveva i fili invisibili del disastro congolese. Padre Benedetto ne aveva inter- vistato la moglie. Bellesi era un giornalista con una grande esperien- za diretta di Sud del mon- do, e di Africa in particola- re; si muoveva nei palazzi del potere come nel più u- mile e sperduto dei villag- gi con la stessa curiosità, lo stesso occhio critico, la stessa indipendenza di giudizio. Con l’umiltà che lo caratterizzava, parlava di queste cose come se stesse raccontando di a- ver passeggiato da Corso Ferrucci a Corso Francia. Per me, che mi preparavo a stare in viaggio per di- ciotto mesi non senza dubbi, remore e - ma sì, diciamolo - anche un po’ di paura, quel suo modo limpido e semplice di con- frontarsi e condividere fu un’iniezione di fiducia. «Si può fumare qui nel suo ufficio, padre?», gli chiesi un po’ titubante a un certo punto di quella chiacchierata. «Tu che di- ci?», mi rispose con un sorriso, indicando un paio di portacenere stracolmi sulla sua scrivania. La sua figura inginocchiata davanti al tavolino del computer per l’impagina- zione della rivista (la se- dia l’aveva data a me), gli occhiali calati a metà del naso arricciato, mentre maneggiava programmi in un Mac che tante per- sone trent’anni più giova- ni di lui a malapena a- vrebbero saputo avviare, mi veniva in mente ogni volta che dall’Africa invia- vo una email con un nuo- vo pezzo per la rivista. «Facciamo così», ci con- gedò: «Per quanto ri- guarda le religioni mono- teiste io vi do la benedi- zione cristiana per il vostro viaggio, così siete coperti per un terzo. Poi la benedizione di un i- mam e quella di un rabbi- no le rimedierete senz’al- tro laggiù». Nel 2009, durante il suo soggiorno a Gerusalem- me, mi scriveva: «Abbia- mo già fatto un paio di e- scursioni e naturalmente ho scattato foto, rimanen- do sempre l’ultimo della fila... ma i miei compagni di viaggio sono pazienti e comprensivi...». L’ultimo nella fila dei pel- legrini. Ma il primo nella fila degli esploratori. Chiara Giovetti 01/08/2013 BANCHE ARMATE Buongiorno, io e mia moglie Elena, da molti anni destiniamo i nostri risparmi ai progetti di padre Antonello Rossi in Congo, passando attra- verso Missioni Consolata Onlus per avere la detra- zione sul 730 e poter gira- re anche questa quota ai missionari. Apprezziamo molto lo stile dei missio- nari della Consolata e ad alcuni di loro siamo molto legati. Tuttavia per la do- nazione al vostro istituto c’è qualcosa che ci lascia molto perplessi: i vostri i- stituti bancari di appog- gio, note banche armate. Penso che sappiate tutti di cosa stiamo parlando: una banca armata non si limita a fornire conti di appoggio e agevolare transizioni di pagamenti tra acquirente e produtto- re di armi, ma spesso prefinanzia la commessa, rendendosi garante per il committente e attivando così la produzione del for- nitore. Le banche armate sono quindi parte molto attiva nella produzione e commercio di armi, spes- so usate in paesi in guer- ra o dove sono sistemati- camente violati i diritti u- mani. Già qualche anno fa avevo scritto a Missioni Conso- lata segnalando la mia perplessità per Banca In-

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