Missioni Consolata - Novembre 2013
48 MC NOVEMBRE 2013 nucleare, è Iitate. Nonostante il paesino non sia stato colpito né dal terremoto né tantomeno dallo tsunami trovandosi ad una sessantina di chilometri dalla co- sta, nessuno dei suoi duemila abitanti è rimasto a ri- siedervi. I venti che soffiano dal mare continuano a trasportare atomi di Cesio 137 e Stronzio 90, assieme a finissime particelle di Uranio liberatisi dai tre reat- tori fusi, che si depositano sul terreno. Le montagne che delimitano le splendide vallate di questa regione sono state una delle cause della sua rovina, incana- lando le correnti provenienti direttamente dalla cen- trale nucleare. Così, mentre attraverso le strade di Ii- tate, non vedo altro che desolazione ed abbandono: case chiuse, negozi vuoti, pali della luce arrugginiti, cartelloni pubblicitari avvolti nella vegetazione. E al posto delle mandrie di mucche la cui carne era fa- mosa in tutto il Giappone, oggi vedo solo ruspe che scavano il suolo sino a venti centimetri di profondità nella speranza di estirpare la radioattività. Tutta la terra dragata viene poi raccolta in grossi sac- chi neri numerati e stoccata in appositi siti in attesa di trovare un modo sicuro per decontaminarla. Questo immane lavoro dovrà essere fatto su tutta la superficie colpita dal fallout , vale a dire una striscia di territorio lunga una cinquantina di chilometri e larga dai cinque ai venti. È la lingua lungo la quale gli elementi che fuoriescono dalla centrale si disperdono nell’aria prima di depositarsi a terra. Migliaia di me- tri cubi di suolo sono già stati raschiati, ma è solo una piccolissima parte di ciò che si deve ancora comple- tare. Per snellire il lavoro ed evitare di saturare i centri di raccolta, nelle zone meno colpite ci si è limitati a sot- terrare il terreno radioattivo coprendolo con suolo in- contaminato. Nessuno, però, è in grado di promettere che l’emergenza sia terminata: il Cesio 137 potrebbe trovare il modo di giungere in superficie o, viceversa, penetrare più profondamente trasportato dalle piogge sino ad incontrare falde acquifere inquinan- dole. LONTANI DA FUKUSHIMA Al termine del mio viaggio visito uno dei tanti centri temporanei in cui sono stati smistati circa centocin- quantamila abitanti della zona evacuata. Le abitazioni sono state ricavate in container ed ogni famiglia ha diritto ad una o due camere da letto, un minuscolo ba- gno, una cucina. La difficoltà maggiore è rappresen- tata dalla totale mancanza di privacy: gli «apparta- menti» sono separati da sottili pareti da cui trapela tutto, e la convivenza diviene molto difficile, special- mente per coloro erano abituati a vivere in grandi case coloniche separate le une dalle altre da distese di campi. Così, per mitigare la disperazione, molti contadini, appena possono, durante il giorno ritornano nelle loro dimore con la scusa di dover accudire al giardino o di prendere qualche vestito. Per aiutarli il Centro di Volontari per la Ricostruzione di Minamisoma, in collaborazione con la Caritas lo- cale, organizza giornalmente alcuni campi lavoro. Partecipo a uno di questi: ripulire dalle sterpaglie il giardino di una casa appartenente a un vecchio con- tadino. Un lavoro «a perdita», nel senso che tutti i partecipanti sanno che la zona non sarà abitabile per anni (se non per decenni), ma «oltre all’aspetto pra- tico dobbiamo valutare quello psicologico», chiarisce il coordinatore del gruppo. «Il solo fatto di sapere che c’è gente che ti aiuta, che non sei solo a lottare, in- fonde quella speranza di cui molti hanno estrema ne- cessità per poter continuare a vivere». La speranza che molti giovani hanno già perduto, ab- bandonando una terra ormai sterile e cercando di ri- farsi una vita. Lontani da Fukushima. • OSSIER
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