Missioni Consolata - Novembre 2013
NOVEMBRE 2013 MC 47 MC FUKUSHIMA nedita fonte di energia all’umanità ma, come possiamo constatare dalla simultanea distruzione della vita umana a Hiroshima e Nagasaki, dal disastro di Chernobyl e dall’in- cidente avvenuto a Tokaimura, essa può anche trasmet- tere enormi problemi alle generazioni future. Per usarla correttamente abbiamo bisogno di riconoscere i nostri li- miti e di esercitare la massima cautela. Per evitare trage- die, dobbiamo sviluppare dei mezzi alternativi più sicuri per produrre energia». Il documento lanciava poi un acco- rato appello affinché il Giappone rivedesse il suo stile di vita fin troppo fiducioso dei risultati scientifici e eccessiva- mente dipendente da un uso spropositato non solo di ener- gia atomica, ma anche elettrica. E se, assecondando questo ripensamento, il Giappone si fosse ritrovato a essere meno competitivo sul piano economico, ebbene, affermava il do- cumento, almeno sarebbe vissuto senza più paura di inci- denti nucleari e sarebbe finalmente ritornato alle sorgenti della sua cultura, saggezza e tradizione (shintoista, buddhi- sta e anche cristiana) che lo vedevano coesistere pacifica- mente con la natura. Tutte queste raccomandazioni, inutile dirlo, si sono rive- late dei semplici desideri, o delle voci troppo flebili per contrastare le urla di coloro che continuavano ad invocare il proseguimento di un sistema economico altamente dis- pendioso in termini di risorse sia energetiche che umane. Eppure, malgrado il silenzio che ha accompagnato le sue esortazioni, la Conferenza episcopale si è sentita in obbligo di lanciare altri messaggi in occasione degli anniversari del disastro di Fukushima. L’ultimo, datato 22 febbraio 2013, constatava il fatto che a due anni dalla tragedia non si può certo dire che la pace e la speranza siano state restituite alla popolazione di quelle zone afflitte, e neppure che si possa dare vita a una benché minima ricostruzione. Le 160.000 persone evacuante da Fukushima, che vivono in abitazioni temporanee, vedono le loro forze fisiche sbricio- larsi giorno dopo giorno; il numero dei giovani che abban- dono i paesi vicini in cerca di lavoro sono sempre più nu- merosi; aumentano le famiglie separate perché molte mamme con i loro bambini lasciano il marito per andare a vivere in zone del Giappone ritenute più sicure… Non- ostante questo dramma la Chiesa continua a stare accanto alle persone offrendo loro supporto materiale e spirituale, cerca continuamente di dare loro speranza e forza stabi- lendo relazioni tra gli abitanti della regione e aiutandoli a ricostruire comunità quasi irrimediabilmente infrante dalla tragedia. Ma forse, e più coraggioso di tutti, è stato l’appello lanciato il 22 dicembre 2011 dal vescovo di Sendai, Martin Tetsuo Hiraga, contro la discriminazione nei confronti di coloro che vivono nelle zone colpite dal disastro. Una discrimina- zione perpetuata non soltanto nei confronti delle persone e dei prodotti di quella regione, ma anche (e ancor più triste- mente) nei confronti della sciagura stessa. Come si af- ferma nell’appello: «La situazione non migliorerà di certo rigettando Fukushima. È solo accettando, rimanendo vicini e dimostrando solidarietà alla popolazione di Fukushima che scopriremo la via da seguire. Ciò che dobbiamo respin- gere non è Fukushima, ma la nostra volontà a escludere e discriminare, sentimenti questi che rappresentano i veri ostacoli verso la solidarietà nei confronti della gente di Fu- kushima. Dobbiamo inoltre opporci alle politiche nucleari che hanno creato questa situazione». Il messaggio ad Abe e al suo tentativo di sdrammatizzare il disastro nucleare in atto non avrebbe potuto essere più chiaro. Non resta che sperare che le stesse acclamazioni di esultanza per la scelta di Tokyo come città ospitante le prossime Olimpiadi, possano un giorno essere seguite da quelle che finalmente annunciano il raggiungimento di un futuro più sicuro per tutti gli abitanti di Fukushima, nome questo ormai diventato uno dei tanti simboli di come (e di quanto!) l’uomo possa irrimediabilmente farsi del male se lasciato solo in balia di se stesso. Tiziano Tosolini a guardare, oggi, a un futuro più roseo: «Pur tra mille difficoltà siamo riusciti a non licenziare nessuno dei nostri venti dipendenti». Il segreto di tanta costanza sta nell’alta qualità dei prodotti: nel minuscolo ufficio condiviso con i suoi collaboratori più stretti, Yasuhido mostra orgoglioso la lista dei premi nazionali asse- gnati alla sua azienda. Mentre degustiamo il suo sake mi confida il suo ultimo sogno: «Convincere, entro il 2025, quando varcherò la soglia dei sessant’anni, tutti i contadini del villaggio in cui sorge la fabbrica a colti- vare esclusivamente riso biologico». Un desiderio, questo, che manifesta la volontà di riscatto lascian- dosi il passato alle spalle. QUEL CHE RESTA DEL MARE Non per tutti, però, è possibile dimenticare ciò che è successo quel terribile 11 marzo 2011. A Ishinomaki, un grosso centro peschereccio a nord della centrale di Fukushima, i pescatori continuano a lottare contro la radioattività. Questa volta proveniente dal mare. Nonostante la ricostruzione abbia rinnovato la citta- dina, le rovine ancora presenti lungo la costa conti- nuano a ricordare agli abitanti che l’oceano è sempre lì, pronto a dare la vita, ma anche a riprendersela. Prima del 2011 Ishinomaki era il principale punto di rifornimento di prodotti marini di Tokyo. Le perdite nelle acque costiere di sostanze radioattive dalla vi- cina centrale di Fukushima, hanno convinto gli acqui- renti della capitale a rifornirsi più a nord, ad Hok- kaido, mettendo in ginocchio l’intera industria ittica della regione. Alle cinque di mattina vado a osservare i primi pescherecci che scaricano il pescato sulle ban- chine del porto. Alle sei i compratori cominciano ad arrivare: sono tutti locali che riforniscono ristoranti o piccoli centri commerciali della zona. Nessuno di loro manderà i prodotti acquistati a Tokyo. «Una volta che il mercato ha segnato le proprie rotte commerciali, è pressoché impossibile cambiarle» spiega un ricerca- tore dell’Università di Tokyo che al problema di Ishi- nomaki ha dedicato uno studio approfondito. Ma forse il luogo che più di tutti rappresenta il dramma che stanno vivendo i giapponesi attorno alla centrale
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