Missioni Consolata - Novembre 2013

In alto: il reattore nucleare di Fukushima. A sinistra : foto scattata da un operatore della «International Atomic Energy Agency» (Iaea, www.iaea.org ) all’interno della centrale nucleare di Fukushima Daiichi il 18 dicembre 2012. NOVEMBRE 2013 MC 41 MC FUKUSHIMA © AEA_Gill Tudor non solo per resistere alle scosse telluriche, ma si era an- che provveduto a costruire delle barriere sul lato mare, così da proteggerlo dalle distruttive onde di marea (gli tsunami, appunto) che spesso accompagnano i terremoti. I progettisti avevano però valutato male l’onda massima prevista. Quella che l’11 marzo 2011 si abbatte sulla terraferma ha un’altezza tale da superare le barriere, allagando la cen- trale (o meglio le centrali; a Fukushima erano infatti ope- rativi ben sei reattori, in edifici separati l’uno dall’altro, ma vicini). Al momento delle ondate, la reazione a catena è già bloccata, essendo intervenuti sin dalle prime scosse i sistemi automatici di sicurezza, ma permane, come ab- biamo spiegato, la necessità assoluta di raffreddare il nocciolo del reattore. Qui cominciano i problemi. La forza del terremoto interrompe le linee elettriche che collegavano la centrale alla rete elettrica nazionale. Que- sto impedisce alla centrale, che - avendo fermato le pro- prie turbine - ora non produce più elettricità, di ricevere dall’esterno l’energia necessaria a far funzionare le pompe di raffreddamento. Un evento del genere era stato previsto nel progetto di Fukushima: in questo caso do- vrebbero intervenire dei grandi generatori diesel apposi- tamente predisposti. Gli alloggiamenti di questi, posizio- nati troppo in basso, vengono però invasi dalle acque e la maggior parte dei serbatoi del loro combustibile sono di- strutti. Si fa allora ricorso a una terza linea di difesa, co- stituita da grosse batterie. Per varie ore esse garanti- scono il funzionamento delle pompe (almeno di quelle non danneggiate), ma alla fine anch’esse giungono a esau- rimento. A questo punto la situazione si fa drammatica. Stante la scala del disastro causato dal terremoto e dal successivo tsunami, risulta impossibile ristabilire le con- nessioni elettriche con la rete; non si trova il modo di far ripartire (o di rimpiazzare) i generatori d’emergenza; non si possono portare altre batterie; la centrale non può quindi raffreddare il nocciolo, che comincia a salire di temperatura, fondendo i materiali che lo costituiscono e causando un accumulo di gas. Delle esplosioni squar- ciano tre edifici di contenimento; tre reattori vengono pe- santemente danneggiati, oltre ogni possibilità di recu- pero; in atmosfera e nel mare vengono immesse grandi quantità di sostanze radioattive, che vanno a contami- nare non solo la zona della centrale ma un territorio assai vasto. Un vero disastro ambientale, umano ed economico. Già, anche economico, in quanto la sola distruzione dei reattori rappresenta una perdita netta immediata di ben oltre dieci miliardi di dollari, senza contare la perdita di introiti dall’elettricità non più prodotta. E non parliamo poi del costo derivante dall’evacuazione della popolazione da una zona di venti chilometri di raggio attorno alla cen- trale. Ma la situazione sarebbe potuta degenerare con la fuoriuscita di radioattività in quantità enormemente su- periori, aumentando di molto il numero di civili da eva- cuare dalle zone circostanti. Per vari giorni gli addetti alla centrale e la protezione ci- vile giapponese cercano in tutti i modi di riportare l’im- pianto sotto controllo. Questo è reso difficile dai danni subiti e dall’impossibilità di lavorare in molte aree a causa delle radiazioni troppo intense. Si ricorre al getto di acqua da parte di elicotteri, che si dimostra però assai poco efficace; si usano autopompe giganti per spruzzare acqua sopra i noccioli esposti dei reattori. Con abnega- zione e affrontando grandi rischi i tecnici e gli addetti ri- escono a tamponare come meglio possono il disastro, non riuscendo però ad evitare che grandi quantità di sostanze radioattive finiscano nell’ambiente terrestre e marino. Ancora al momento in cui scriviamo queste righe - fine settembre 2013 - le perdite continuano. Mirco Elena Reattore (al suo interno ci sono le barre di combustibile nucleare) Prima gabbia di contenimento in calcestruzzo e acciaio Seconda gabbia di contenimento Vasca del combustibile esausto Parte esplosa Vasca di abbattimento della pressione Tunnel di accesso

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