Missioni Consolata - Novembre 2013
40 MC NOVEMBRE 2013 S CHEDA / L’ATOMO E L’ENERGIA NUCLEARE Abbiamo chiesto a un fisico di spiegare, in poche e semplici parole, l’atomo, come funziona una centrale nucleare e cos’è successo a Fukushima. L a materia che ci circonda, compresa quella presente in noi stessi, è formata da atomi di un centinaio di tipi diversi. Ogni atomo è composto da tre particelle fondamentali, piccolissime: i protoni, i neutroni e gli elet- troni. La stragrande maggioranza della massa, cioè del materiale costituente un atomo, si trova nel suo piccolis- simo nucleo. In questo sono presenti un certo numero di protoni (con carica elettrica positiva) e neutroni (questi servono a «incollare» i protoni tra loro, che altrimenti si respingerebbero avendo la stessa carica elettrica). Solo nel caso dell’elemento più leggero, l’idrogeno, il nucleo è privo di neutroni; vi è presente infatti un solo protone e quindi non ci sono problemi di repulsione elettrostatica. La comprensione della struttura degli atomi deve molto alla scoperta della radioattività, avvenuta nel 1896. Fu una scoperta del tutto inattesa, che rivelò come in natura vi siano energie enormi, milioni di volte maggiori di quelle sino ad allora conosciute. Queste energie sono rac- chiuse nel minuscolo nucleo degli atomi. Fu straordinario scoprire che, proprio nei volumi più piccoli accessibili al- l’indagine scientifica, si nascondono energie fino ad allora inimmaginabili. La radioattività permise un’affascinante gamma di studi, i quali, nel giro di nemmeno cinque de- cenni, portarono alla più sconvolgente delle realizzazioni tecnologiche: la bomba atomica. Al cuore di questo svi- luppo c’è la cosiddetta reazione a catena, nella quale i nu- clei di certi rari atomi, come l’uranio 235 (il 235 indica il numero totale di protoni e neutroni presenti nel nucleo), vengono spaccati dall’impatto di neutroni di energia ap- propriata. La cosa importante è che, oltre ai velocissimi (e quindi assai energetici) frammenti di nucleo, con l’im- patto vengono liberati anche alcuni neutroni, i quali, se si è progettato bene l’apparato, possono indurre la fram- mentazione (o «fissione», per usare il termine tecnico più appropriato) di altri nuclei posti nei pressi. Questo pro- cesso avviene assai rapidamente e, se si riesce a far spac- care una gran parte dei nuclei presenti, ciò consente di ottenere deflagrazioni gigantesche: le esplosioni nucleari (o, più volgarmente, atomiche). Ma la liberazione di energia nucleare può anche avvenire in maniera non esplosiva. Infatti, con grande perizia, si può controllare la reazione a catena, sfruttando la possi- bilità di variare il numero dei neutroni che causano le fis- sioni. Questo si fa introducendo, tra gli atomi da spac- care, alcuni atomi il cui nucleo cattura i neutroni liberi che lo colpiscono. Si tratta dei cosiddetti veleni neutro- nici (uno di questi elementi è, ad esempio, il boro). Questo apre la possibilità di realizzare una centrale nucleare, in cui l’energia necessaria per far girare le turbine (che pro- ducono l’elettricità) deriva dalla rottura dei nuclei di ura- nio a un tasso limitato e controllato. Tra una centrale nu- cleare e una convenzionale (che brucia combustibili fos- sili) la differenza nella produzione energetica è tutta qui; gli altri componenti dell’impianto, pompe, condensatori, turbine, alternatori sono fondamentalmente identici. Per consentire la gestione in sicurezza di una centrale nu- cleare si deve sempre garantire un adeguato raffredda- mento del nocciolo dell’impianto, cioè di quella zona dove avvengono le reazioni di fissione. L’energia liberata è in- fatti ingentissima e assai concentrata, non solo durante il funzionamento normale, ma per molti giorni anche dopo che la reazione a catena si è arrestata. L’arresto viene ot- tenuto inserendo una sufficiente quantità di veleni neu- tronici, contenuti nelle cosiddette «barre di controllo». Se tutte sono inserite nel nocciolo la reazione a catena si ferma; se invece man mano vengono estratte, allora la reazione riprende con sempre maggior vigore. Per evi- tare danni seri e possibili disastrose conseguenze am- bientali, la gestione di un impianto elettronucleare deve essere fatta evitando che il nocciolo del reattore superi le temperature previste dal progetto. Nella maggior parte dei casi ciò viene fatto convogliando grandi quantitativi di acqua sul nocciolo, grazie a potenti pompe (per dare un’i- dea: 60 metri cubi al secondo per una centrale da 1000 MW). In mancanza del raffreddamento, la temperatura delle barre di combustibile può velocemente raggiungere le migliaia di gradi centigradi, con la conseguente fusione dei materiali che le costituiscono e il rilascio delle so- stanze (assai radioattive) in esse contenute. È il caso di specificare che, per realizzare una centrale nucleare, la disposizione e la concentrazione del mate- riale atomico sono assai differenti da quelle proprie della bomba. Questo non vuol dire che una centrale non possa esplodere, ma si trattererebbe in tal caso di una esplo- sione «convenzionale», dovuta all’accumulo di gas e alla loro eventuale reazione chimica e non a una reazione nu- cleare di tipo incontrollato. N egli ultimi decenni si sono avuti alcuni gravissimi incidenti in impianti nucleari civili: Chernobyl nel 1986 e appunto Fukushima nel 2011. Se nel primo caso ciò è stato dovuto principalmente alla disattenzione e impreparazione dei tecnici addetti all’impianto ( Cher- nobyl e il Trentino. La paura atomica nel piatto , in biblio- grafia, ndr ) e solo in seconda battuta alle debolezze tecni- che dell’impianto stesso, nel secondo il disastro è stato conseguenza solo dell’incapacità di stimare con preci- sione il rischio dovuto agli tsunami. Per poter disporre delle grandi quantità di acqua necessarie al suo funziona- mento, la centrale di Fukuhima è stata posizionata sulla costa. Essendo il Giappone un paese notoriamente sog- getto a forti terremoti, l’impianto era stato progettato OSSIER
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