Missioni Consolata - Novembre 2013
sempre più portentose degli uomini e delle donne, ma ne è così rispettoso che lascia sempre più spazio, in forza del mandato originale di crescere, soggiogare la terra, dominare sul creato (cf Gen 1,28-29). È la teolo- gia del Dio che si svuota completamente di se stesso per essere prossimo e vicino a ogni essere umano. La limitatezza di Dio è così decisiva e così definitiva che Gesù stesso si sottomette alla legge in modo irrevo- cabile: «Nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Possiamo mai avere paura di un «Dio limitato»? Sull’esempio di Dio che si è auto-condizionato al li- mite, nessuno può imporre nulla «in nome di Dio». Anche le crociate furono indette in nome di Dio e sap- piamo quello che sono state e cosa sono costate al mondo e alla Chiesa: le conseguenze di quelle scelte avventate, le paghiamo ancora oggi. Dalla logica delle crociate solo un uomo del suo tempo, Francesco di Assisi, nel 1229, si differenziò coscientemente perché nel pieno del conflitto della quinta crociata, andò da solo a trovare il «nemico», il sultano ayyubide Malik al-Kamil, presentandosi disarmato. Ricevette così l’incarico di «custodire» per sempre i luoghi santi del Signore Gesù in Terra Santa, come ancora oggi av- viene, dopo ben nove secoli. Il concetto di «onnipotenza» che affibbiamo alla divi- nità, mal si concilia con il Dio di Gesù Cristo, il quale «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso as- sumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7; cf Mt 27,40). Legandosi indis- solubilmente alla natura umana, ha scelto il metodo umano per rivelarsi e manifestarsi e dunque si è sot- tomesso alla «paidèia» (pedagogia) umana, adeguan- dosi al passo degli uomini e delle donne, radicato sulla ricerca che a sua volta nasce ed emerge dalla logica e dalla legge dell’incarnazione. Dopo l’incarnazione di Cristo, vale anche per lui, in modo diretto e puntuale, quello che Publio Terenzio Afro affermava per ogni essere umano: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto – Sono uomo, nulla di ciò che è umano mi può essere estraneo » 4 . Nulla è estraneo a Dio, non solo come creatore, ma special- mente come Redentore. In questa prospettiva deve collocarsi l’invito, anzi il mandato: «Voi siete il sale» (Mt 5,13). Compito del sale, infatti, non è separarsi dalla minestra, cioè «disincarnarsi» dalla storia, dalla politica, dall’economia, ma, al contrario, perdersi e scomparire per realizzare la sua «missione». Allo stesso modo, compito del cristiano non è estraniarsi dalle cose mondane, che sono l’habitat naturale della sua esistenza, ma immergersi nel mondo e nella sto- ria dell’umanità, perdendo la propria vita in compa- gnia di tutti quelli, credenti e non credenti, tutti figli e figlie di Dio, che costruiscono la «città dell’uomo» perché ognuno possa essere se stesso. In breve signi- fica: vivere a servizio del «bene comune». L’evangeli- sta Luca lo dice al mondo ebraico, ponendo in evi- denza l’assoggettamento alla legge psicologica e a quella della fede: «Cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52; cf 2,40). Inchio- dandosi sulla croce, Dio ha rinunciato alla sua onni- potenza e si è sottomesso alla legge del limite che gli impedisce di scendere dalla croce e fare un portento clamoroso a beneficio di poveri increduli. Il processo d’incarnazione, descritto nella Bibbia, rag- giunge il vertice nel vangelo di Giovanni quando, con un ardimento linguistico senza precedenti, l’autore osa affermare l’impensabile e l’indicibile: «Hò Lògos sarx egèneto». Tradotto alla lettera, rispettando la posizione delle singole parole si ha: «Il Lògos-carne fu fatto» (Gv 1,14). L’autore vuole mettere quasi a con- tatto fisico i due termini antitetici, irriducibili, l’uno al- l’altro, «Lògos-sàrx» è un ossimoro intraducibile in italiano, senza dovere ricorrere a una circonlocuzione. Il Trascendente diventa Immanente, l’Impalpabile si fa «Carne», che nel linguaggio semitico significa «fragi- lità/mortalità/limite/caducità». L’Assoluto diventa Re- lativo per «incarnazione» e rivelazione. Nel momento in cui sceglie di essere «Carne», cessa per sempre di essere «Onnipotente» (Cesare) e s’identifica indisso- lubilmente con la fragilità, la caducità, il frammento, la mortalità, il corpo, propri dell’essere umano, se- gnato costitutivamente dalla temporalità e dallo spa- zio. San Paolo fu il primo a parlare di « lògon syntelôn - Verbum breviatum – Parola ri tagliata/accorciata»: «Il Signore, infatti, realizzerà sulla terra il Lògos che si compie e che si accorcia/si taglia» (Rm 9,28) che purtroppo anche l’ultima versione della Cei (2008) tra- duce con «pienezza e rapidità il Signore compirà la sua parola sulla terra », travisando il senso dell’e- spressione greca, che è molto più pregnante e dirom- pente. Il concetto, data la sua importanza scandalosa, è ripreso dai Padri della Chiesa e da san Francesco di Assisi. Quest’ultimo poi, fedele alla tradizione patri- stica, allestendo il primo presepe a Greccio nel 1223, parlò della notte in cui Dio si è accorciato, si è fatto «verbum abbreviatum» 5 . L’accorciamento di Dio è verificabile nelle sue manife- stazioni: nella creazione, «in principio» (Gen 1,1), Dio ha parlato con l’azione, pronunciando solennemente «dieci parole» cui corrispondono «dieci realizzazioni» o dieci fatti. C’è quindi una sovrabbondanza di parola, distribuita in sei interi giorni: «Disse Dio … e così fu». La creazione in tutta la sua complessità di cielo e di terra, di «acque superiori e inferiori», di uccelli e ani- mali e, infine, con la coppia umana è l’universale e molteplice Parola di Dio. Nell’incarnazione, invece, tutto si riduce a una sola Parola , un Nome perché possa essere contenuta da ciascuno e nessuno possa dire di non essere in grado di portarne il peso perché la Parola/le parole sono parte intima di noi stessi con cui realizziamo il nostro bisogno di comunicazione cioè di relazione. Tutto accade nel «profondo silenzio [che] avvolgeva tutte le cose» (Sap 18,14). Nella crea- zione la Parola esplode, nell’incarnazione il Silenzio regna, quasi a esprimere il pudore di Dio che viene in punta di piedi. Alla luce di questo processo d’incarnazione, l’espres- sione «date a Cesare … date a Dio» acquista una con- figurazione ben precisa, perché non si tratta di «oppo- sizione inconciliabile» tra due «mondi», o ordini, ma d’invito al discernimento per leggere la realtà della storia con gli occhi di Dio. Dopo l’incarnazione di Gesù e la sua morte, «quella» morte (cf Mc 15,39), che causò lo squarcio del «velo del tempio, da cima a fondo» (Mc 15,38), rendendo accessibile allo sguardo pagano il «santo dei santi», non può esistere più la separatezza tra «sacro» e «profano» perché con Gesù tutto è sacro e tutto resta profano. Queste categorie sono ormai desuete, incompatibili con il Vangelo che porta la nuova logica dell’umanità di Dio risorta, ad assumere in sé le contraddizioni degli eventi e della storia. Bisogna, però, stare attenti a non costruirsi «idoli» provvisori o definitivi, come possono essere la reli- gione, il denaro, il potere, il successo, il proprio inte- NOVEMBRE 2013 MC 33 MC RUBRICHE Rendete a Cesare - 8
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