Missioni Consolata - Novembre 2013
tutto si risolse in una notte, ma da noi uccisioni e sparatorie non diedero tregua. Ricordo gli occhi delle persone, grandi, pieni di terrore o di odio, il rumore degli spari, il latrare dei cani e le lun- ghe notti buie». I volontari inizia- rono allora a mobilitarsi per ac- cogliere le persone in fuga. «Go- dance, direttrice della scuola per sordomuti, con i suoi collabora- tori e 40 bambini furono accom- pagnati nel centro dell’arcive- scovado, alcuni trovarono rifugio a casa nostra, e nelle case Cisv di Rabiro dove i volontari diedero ospitalità a 200 persone. In 48 ore si radunarono 2.000 persone all’arcivescovado, molte ferite, lascio immaginare le condizioni igieniche e… cosa dare da man- giare? Ogni giorno andavamo lì, ognuno faceva quel che sapeva e poteva, avevamo così poco». «La gente ci chiedeva di non an- darcene, volevano che restas- simo a vedere quel che succe- deva. Per loro eravamo un po’ come sentinelle, la nostra pre- senza li faceva sentire più si- COOPERAZIONE 26 MC NOVEMBRE 2013 ha mietuto numerose vittime tra gli stessi amici e collaboratori locali più stretti della Cisv. «A distanza di anni, faccio an- cora fatica a parlare di quel pe- riodo» dice Mariangela Rapetti, cooperante in Burundi negli anni ’93-’94. «Era ottobre, a Gitega mancava la corrente elettrica, dicevano che i contadini avevano danneggiato un traliccio. Forse c’erano dei segnali, ma noi non avevamo l’esperienza per inter- pretarli. Fino al fatidico mattino del colpo di stato. In capitale Cisv: la parola al presidente BURUNDESI? GENTE DI MONTAGNA Federico Perotti è presidente Cisv dall’aprile di quest’anno. Ingegnere idrau- lico, all’inizio del suo percorso fu anche volontario in Burundi. E da sempre è buon amico dei missionari della Consolata. Ecco la sua visione del paese. Tu sei stato la prima volta in Burundi a inizio anni Novanta. Com’era allora il paese? «Al mio arrivo, nel gennaio ’91, era in corso il processo di democratizzazione avviato dal leader Buyoya. Fu approvata tra l’altro la Carta di unità nazionale che doveva evitare scontri e tensioni tra le etnie. Nel giu- gno ’93 le elezioni presidenziali si conclusero con la vittoria di Ndadaye. Fu un momento di grandi spe- ranze, anche per l’andamento dei nostri progetti, che stavano avendo impatti significativi con collabora- zioni importanti con i municipi e i servizi tecnici. Ma, poche settimane dopo il suo incarico, Ndadaye fu as- sassinato e il colpo di stato infranse tutte le speranze. La distinzione etnica tra hutu e tutsi non fu la sola causa del conflitto, ma fu usata come pretesto per ma- scherare interessi politico-economici». Quanto ha pesato la guerra civile sul lavoro dei volontari? «La guerra, con il suo corredo di morti, tensioni e in- stabilità ha avuto forti ripercussioni per oltre una de- cina d’anni: nel 2005 il Burundi si trovava nelle stesse condizioni del 1993; di fatto una grossa retromarcia da tutti i punti di vista: economico, sociale, delle rela- zioni. Diversi nostri collaboratori burundesi furono uccisi. I volontari però, a parte un brevissimo periodo in cui furono evacuati per motivi di sicurezza, conti- nuarono a lavorare durante gli scontri e anche in se- guito, intervenendo su più fronti: dai progetti di svi- luppo per la produzione e l’autosufficienza alimen- tare, agli interventi per la ricostruzione di quanto era andato distrutto, scuole, ospedali, case. È anche me- rito dei nostri volontari se circa 30.000 rifugiati hanno potuto rientrare in patria trovando un tetto ad accoglierli. L’anno scorso a Bujumbura ho incontrato monsignor Simon Ntamwana, arcivescovo di Gitega; lui ha seguito Cisv in tutti questi anni e mi ha confer- mato la sua stima, ci considera “amici e fratelli del suo popolo, fedeli fino in fondo in tutti questi anni trava- gliati”». Il popolo burundese è piuttosto schivo e riservato. Che rapporti si sono creati tra i volontari e la gente? «I burundesi sono gente di montagna, o meglio, di col- lina, un po’ chiusi e diffidenti. A differenza di altre popo- lazioni africane non vivono riuniti in villaggi ma sparsi sul territorio, ognuno nella sua capanna. La dimensione è quella delle famiglie e dei clan, si creano relazioni solo in occasioni particolari, come al mercato. È solo di re- cente che hanno iniziato a formarsi alcuni villaggi, per esigenze di elettrificazione. In questo contesto lavorare per lo sviluppo è più faticoso, ci va più tempo. Malgrado ciò, soprattutto con alcuni volontari, si sono creati buoni legami personali. Io stesso, dopo oltre 20 anni, sono an- cora in contatto con alcuni amici burundesi, con cui mi sento regolarmente». Qual è la situazione attuale del paese? «L’economista Paul Collier nel libro L’ultimo miliardo cita, tra le caratteristiche che rendono i paesi a ri- schio di ricadere in spirali di miseria e instabilità, la
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