Missioni Consolata - Ottobre 2013

OTTOBRE 2013 MC 57 MC RUBRICHE la diffusione di ideologie di extra- territorialità e ribellione, e foco- lai di intransigenza religiosa. Fa- cendo leva su povertà, frustra- zioni e aspirazioni di molte co- munità islamiche, dalla Palestina alle Filippine meridionali, è di- ventato anche elemento destabi- lizzatore per molti paesi a mag- gioranza musulmana, provo- cando più vittime tra i correligio- nari che non tra i non-musul- mani. Un radicalismo che incen- tiva il senso di inadeguatezza di ampie comunità islamiche asiati- che attraverso il continuo ac- cento posto sulla distanza tra i costumi di vita locali e la neces- saria fedeltà all’Islam. È da que- sto - ovvero dalla percezione di una identità islamica minacciata - che derivano probabilmente molte delle legislazioni antibla- sfemia. Da qui deriva anche il contrasto continuo all’interno dei grandi paesi musulmani sull’ap- plicazione della legge coranica ( Shari'a ): la giurisprudenza laici- sta la vorrebbe vincolante per i soli musulmani, gli oltranzisti in- vece erga omnes , ovvero imposta anche alle minoranze. Ulteriori complicazioni derivano poi dalla presenza di leggi tribali o locali nei diversi ordinamenti. Alla fine, nella pratica, la legge più restrittiva s’impone a scapito delle istanze di uguaglianza e, sovente, di sviluppo. 32 paesi che penalizzavano la blasfemia, la maggior parte si trovava in Medio Oriente e nell’A- frica settentrionale. In 13 dei 20 paesi di quell’area la blasfemia è un crimine. Nella regione Asia- Pacifico, sono nove su 50 i paesi con leggi analoghe, mentre in Europa questa legge si ritrova in otto dei 45 paesi del continente (tra cui anche l’Italia, si veda la tabella in questa pagina , ndr). Per quanto riguarda l’Africa Sub- sahariana, sono solo due i paesi che applicano una legge antibla- sfemia: Nigeria e Somalia. IL DISAGIO DELL’ISLAM Pare inevitabile, parlando di «be- stemmia» e di come le istituzioni di diversi paesi nel mondo cer- cano di contrastarla attraverso provvedimenti mirati, concen- trarsi quasi esclusivamente sul- l’Islam. L’attuale influenza di una versione rigorista della dottrina musulmana, quella wahhabita, elaborata nel medioevo islamico e predominante in Arabia Saudita e in altri paesi della regione, sta segnando la pratica di fede nel- l’ecumene musulmano e anche la vita di chi musulmano non è. Il wahhabismo, forte degli abbon- danti proventi del petrolio, ha in- centivato una diaspora missiona- ria che ha sostenuto la nascita di infinite scuole coraniche, mo- schee, centri di studio, ma anche IN CARCERE IL BLASFEMO TURCO Un caso recente mostra che la legge si applica in modo esteso anche ai nuovi media. A fine maggio 2013, alla Turchia è toccato condannare per la prima volta per blasfemia un blogger, un cittadino turco di ori- gini armene, Sevan Nisanyan, ri- tenuto colpevole di «avere aper- tamente denigrato i valori reli- giosi di una certa parte della po- polazione» e per questo condan- nato a un anno e 45 giorni di de- tenzione. Una condanna estesa dagli ini- ziali nove mesi chiesti dal pub- blico ministero perché il suo cri- mine, come segnalato dall’agen- zia d’informazione semi-ufficiale Anadolu , «è stato commesso at- traverso un mezzo d’informa- zione». Una sentenza che mo- stra insieme elementi purtroppo noti e anche di novità, quella de- cretata in Turchia, paese dalle solide basi laiciste, iscritte nella sua storia moderna prima an- cora che nella costituzione del 1982, ma che sotto il governo islamista di Regep Tayyip Erdo- gan ha visto una sicura svolta in- tegralista. Non senza resistenze, interne ed esterne al parlamento di Ankara e anche sotto lo sguardo attento delle diplomazie internazionali, a partire da quelle dell’Unione Europea. In un testo pubblicato sul suo blog lo scorso settembre, Ni- sanyan (pubblicista e tra i pio- nieri delle nuove tendenze del- l’industria turistica turca) aveva parlato delle proteste interna- zionali successive all’uscita del film di produzione hollywoodiana Innocence of Muslims , una pelli- cola di basso livello artistico e tecnico e ancor minore successo commerciale, che metteva in ri- dicolo la figura del profeta Mao- metto. Dure poteste, con episodi di violenza furono il risultato in diversi paesi musulmani, tra cui Egitto e Libia. Mentre il premier turco denunciava il film come «islamofobico», la sua popola- zione si limitava a proteste paci- fiche e poco partecipate. «Non è un crimine che chiama all’odio prendersi gioco di alcuni leader arabi che molti secoli fa proclamarono di essersi messi in contatto con Dio e ne otten-

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