Missioni Consolata - Ottobre 2013

48 MC OTTOBRE 2013 OSSIER provare paura e senza sentirsi giudicato. Gesù creava uno spazio accogliente tra se stesso e colui con il quale entrava in dialogo; faceva questo metten- dosi innanzitutto in ascolto dell’altro in quanto per- sona come lui, in quanto membro dell’umanità do- tato di un volto, di una storia e di un nome precisi, e cercando dunque di percepire cosa gli stava a cuore, qual era il suo bisogno. Ha saputo vedere: • un uomo dove gli altri vedevano un pubblico pec- catore (cfr. Lc 5,29-30); • una donna dove gli altri vedevano una prostituta (cfr. Lc 7,36-50); • la salvezza all’opera dove gli altri vedevano solo vizio e peccato (cfr. Lc 19,1-10). È in questo modo che Gesù ha vissuto la sua intera esistenza come capolavoro d’amore, e così ha com- piuto pienamente la volontà di Dio, è stato «l’uomo secondo il cuore di Dio». IL SENSO UMANO DELLA SEQUELA DI GESÙ Si tratta oggi di dare carne al comandamento dell’a- more così come Gesù ce lo ha indicato e mostrato, comprenderlo in modo rinnovato, adoperandosi per far emergere quella che si potrebbe definire una «grammatica umana dell’amore». E questo insieme a una riscoperta della prossimità: le due istanze sono strettamente interrelate e vanno di pari passo. Allora «chi ha spirito missionario sente l’ardore di Cristo per le anime e ama la Chiesa come Cristo. Il missionario è spinto dallo zelo per le anime, che si ispira alla carità stessa di Cristo, fatta di attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità, interessamento ai problemi della gente» (Rm 89). Noi siamo chiamati in Europa a imparare il linguag- gio degli uomini di questo tempo. O, forse, prima del linguaggio, dobbiamo anche imparare l’alfabeto col quale balbettare le parole del cuore e della simpatia, prima che della ragione, delle regole e proibizioni. Questo perché l’evangelizzazione non batta sentieri aridi, ma sappia respirare a pieni polmoni il vissuto degli uomini, nostri fratelli e sorelle, perché l’evan- gelo non sia ridotto alla sola dimensione morale o le- gale, perché la spiritualità cristiana non sia declinata in opposizione alla realtà umana e materiale. Occorre recuperare il senso umano, umanissimo, della sequela di Cristo, la quale non è riducibile al ri- spetto di norme, a un affannarsi a tempo pieno, a un’attività pastorale frenetica, ma esige la gratuità dell’amore. Questo perché, attraverso di noi e la no- stra testimonianza, il Vangelo non diventi sale sci- pito, ma conservi il suo sapore, non opacizzi la luce, ma continui a illuminare. Qui e non altrove va visto il fondamento dell’evange- lizzazione: in questa narrazione dell’amore che è stato Gesù, morto per gli uomini tutti e risorto in forza dell’amore vissuto all’estremo. Evangelizzare non è anzitutto portare una dottrina, comunicare della verità: è raccontare Gesù Cristo come colui che ha evangelizzato «Dio» – ha, cioè, reso Dio una buona notizia – e ha evangelizzato l’uomo vivendo egli stesso nella storia e nella condizione umana, e rive- lando a ciascuno la sua autentica natura di «sal- vato». Questo è il contributo specifico del missionario - pel- legrino nel suo cammino in compagnia degli uomini: vivere, rendendola visibile e tangibile questa prassi missionaria di Gesù. In questo modo saprà rispon- dere al grido, spesso in forma di gemito, che perce- piamo venire dall’Europa oggi: «Vogliamo vedere Gesù!» (Gv 12,21), come i pagani chiesero ai discepoli in occasione della sua ultima pasqua a Gerusa- lemme. Questo è il contributo di ogni cristiano, perché la nuova evangelizzazione non è un «affare» esclusivo degli uomini e donne di Chiesa, ma è la missione di ogni battezzato che ha incontrato Gesù nella sua vita. Come i primi cristiani che, cacciati fuori da Ge- rusalemme dalla persecuzione «andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio» (At 8,4) e li- beri da schemi e tradizioni, animati dallo Spirito, seppero evangelizzare in modi nuovi e creativi (come ad Antiochia, dove per la prima volta il Van- gelo fu annunciato specificamente ai non ebrei. Vedi At 11,19-21). IMPARARE A SOGNARE Si tratta allora di imparare di nuovo a «sognare» per intravedere una nuova visione/immaginazione evan- gelica che si traduca in azione e significhi una nuova operatività missionaria, entro il contesto, a un tempo plurale e globale, dell’Europa di di oggi. Per questo prima di tutto occorre superare l’autore- ferenzialità, cioè, il ripiegamento su noi stessi, sui nostri limiti, paure e debolezze. Basta piangerci ad- dosso, pensare che tutto dipenda da noi. Dobbiamo sollevare lo sguardo e lasciarci guidare dal sogno di Dio per l’umanità e in particolare per questo nostro Continente. Abbiamo bisogno del coraggio di so- gnare con Dio. Secondo, dobbiamo ricordarci che è un cammino graduale da portare con pazienza, perseveranza e umiltà. Esige tempo, riflessione, dialogo, voglia e passione per annunciare Cristo, anche oggi, in que- sta Europa, da ritenersi vera e propria terra di mis- sione a tutti gli effetti. In terzo luogo, capire che far/essere nuova evange- lizzazione non è mai una rottura con il passato, ma si colloca nella logica del piano di Salvezza che cele- briamo nella Liturgia attraverso l’Eucarestia. Siamo in un cammino che è allo stesso tempo «continuità e cambiamento, fedeltà al passato e coraggio di af- frontare il futuro, costanza e contingenza, tradizione Anche le foto di questa terza parte sono simboliche. Si inizia con il Consolata Happening del 2010 in Certosa di Pesio e, passando dall’Agorà degli Scout a Verona, ci si unisce ai giovani della Gmg di Rio in Brasile lo scorso luglio 2013, per concludere con il canto universale del Gen Rosso (a Nairobi).

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