Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2013

AGOSTO-SETTEMBRE 2013 MC 7 Cari mission@ri re difficoltà e sofferenze indicibili. È anche il so- gno della nostra lettrice. Le case vuote di tanti no- stri villaggi nel Sud d’Ita- lia ci dicono che è un so- gno difficile da realizza- re, ma noi con tutto il cuore facciamo il tifo per Klodiana e per tutti gli uomini e donne che come lei sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese. SPRECHI ALIMENTARI Nella speranza di fare co- sa gradita, vorrei condivi- dere con voi questo mio scritto che ho pubblicato su La Gazzetta del Mez- zogiorno dell’11 giugno 2013. Con molti compli- menti per il loro lavoro. Giorgio Nebbia. CULTURA DELLO SCARTO Il 5 giugno scorso il Papa Francesco ha preso l’oc- casione della quarantune- sima «Giornata della Ter- ra» per parlare di am- biente e di sprechi e lo ha fatto con parole che non ascoltavamo da molto tempo. Nell’udienza gene- rale (il testo integrale si trova nel sito www.vati- can.va) ha ricordato che la donna e l’uomo sono stati posti nel Giardino perché lo coltivassero e custodis- sero, come si legge nel secondo capitolo del libro della Genesi, e ci ha invi- tati a chiederci che cosa significa coltivare e custo- dire: trarre dalle risorse del pianeta i beni neces- sari, con responsabilità, per trasformare il mondo in modo che sia abitabile per tutti, parole che già Paolo VI aveva usato nel- l’enciclica «Populorum progressio» del 1967. Papa Francesco ha detto che non è possibile custo- dire la Terra se, non solo le sue risorse, ma addirit- tura le donne e gli uomini mio villaggio, nel Sud del- l’Uganda, ne contavo cin- que o sei fuori uso. Per- ché non funzionavano? Ma semplicemente per- ché anche i pozzi hanno bisogno di manutenzione e chiamare i tecnici, an- che locali, dalla capitale (esempio concreto del mio villaggio distante 350km dalla capitale) ve- niva a costare troppo ri- spetto alle possibilità del villaggio. Non importa se poi le persone dello stes- so villaggio trovassero sempre i soldi per bere birra, tradizionale e non, nei bar locali. Altra piccola riflessione. Mi ha colpito, appena rientrato in Italia nel 2005, sentire Tony Blair affermare che solo il 20% di quanto raccolto a favo- re del Sud del mondo va davvero della povera gen- te a cui dovrebbe essere destinato. Poi si sa bene che anche gran parte di quel 20 % va nelle mani di chi già sta bene, magari politici o faccendieri loca- li. Certo che vedere viag- giare il personale delle varie organizzazioni uma- nitarie con macchinoni che non finiscono più e sapere che vivono in posti lussuosi che in Occidente non potrebbero permet- tersi con tanto di servitù, e che il loro salario men- sile è superiore a… Beh, lasciamo perdere. Grazie ancora Fra Silvestro Arosio o.f.m. 10/06/2013, via email Il problema che Chiara ha cercato di focalizzare nel suo articolo è molto va- sto. E non nuovo: ricordo che alla fine degli anni Settanta lessi un libro che criticava i progetti inutili delle organizzazio- ni umanitarie portando esempi concreti di spre- chi e cattivo sviluppo. Credo che come missio- nari abbiamo visto pro- getti bellissimi che hanno cambiato la vita di villag- gi e regioni, altri che so- no stati inutili come cat- tedrali nel deserto e altri ancora che hanno dimo- strato gran cuore e poca testa. Solo pochi giorni fa sono stato perplesso di fronte alla pubblicità in- serita in un importante settimanale che invitava all’adozione a distanza. Già altre volte ho provato a verificare in rete le atti- vità di alcune di queste a- genzie di adozione e la mia impressione è stata quella di trovarmi di fron- te a qualcosa di molto va- go e fumoso. Mi permetto di aggiunge- re due cose. La prima è l’invito ad essere critici con quelle agenzie che fanno pubblicità molto costose o che addirittura vi telefonano e mandano i loro agenti a raccogliere soldi di casa in casa (o cose simili). Un po’ di pubblicità è certo neces- saria: corretta, dignitosa e rispettosa; ma quando usa lo stesso stile del te- lemercato e della vendita porta a porta, c’è qualco- sa che non quadra. Sono davvero interessati al be- ne dei bambini che dico- no di aiutare o alla loro sopravvivenza come or- ganizzazione? La seconda è una parola - - neppure troppo seria, però, visti i limiti della mia esperienza - in favo- re della servitù. È vero che ci sono degli opera- tori di Ong o agenzie in- ternazionali che vivono in case di lusso (in rapporto allo standard di vita loca- le) circondati da servitù: cuoco, colf, babysitter, giardiniere, portinaio, guardia, autista o simili. Questo può scandalizza- re, soprattutto se si ha l’occasione di sentire le chiacchiere di chi se ne vanta durante gli incontri tra espatriati. In realtà è uno degli aspetti positivi della presenza dei coope- ranti: creano lavoro in u- na realtà dove spesso la disoccupazione è piaga endemica. Ho conosciuto volontari o membri di or- ganizzazioni internazio- nali che di proposito ave- vano anche più personale del necessario proprio per dare lavoro ai locali o non dover lasciare a casa persone già impiegate dai loro predecesssori. DONNE ALBANESI Ho letto l’articolo sulla realtà delle donne alba- nesi ed essendo io alba- nese devo dire che non ce la faccio più. Cosa faccio? Sono in Italia da diversi anni, qua ho le mie ami- che, la scuola… poi torno a casa e la vita immagina- ria che mi costruisco «nelle poche ore di li- bertà» crolla, la speranza di avere un giorno una vita normale... Diverse volte ho sperato che questo fosse solo un brutto incu- bo ma poi i fatti mi risve- gliano da questo «sogno». Io non avrò mai un finale a lieto fine anche se lo vor- rei con tutto il cuore, per me e le mie sorelle. Klodiana 01/06/2013, via email L’articolo apparso sul nu- mero di marzo 2013, rac- contava del sogno di ri- tornare a casa di donne e famiglie albanesi prove- nienti dalla Macedonia: un «lieto fine» che è nei desideri di tutti gli emi- granti. Risparmiare ab- bastanza per rientrare nel proprio paese a testa alta e ricominciare una vita nuova, liberando i propri figli dalla neces- sità di una dura emigra- zione è stato il sogno che ha dato la forza a milioni di emigranti di sopporta- Continua a pg. 82

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