Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2013
MC ARTICOLI semplici cittadini, li alienano sempre più dalla simpa- tia popolare. È necessario però che le nuove autorità dimostrino che sanno offrire qualcosa di meglio: ri- spetto, riconciliazione, lavoro, educazione, sanità, ecc. È solo in questo modo che l’estremismo islamico può efficacemente essere combattuto». In generale la sicurezza in Somalia e in capitale è migliorata? Anche l’Onu ha riaperto l’ufficio del- l’Unhcr dopo 3 anni. Un segnale di speranza o solo immagine? «La riapertura di vari uffici e anche di ambasciate è segno di un miglioramento e di speranza: ma la strada, ripeto, è lunga, non bisogna illudersi. La sicu- rezza è migliorata per i cittadini comuni. Invece per i funzionari statali e per gli stranieri, c’è bisogno an- cora di farsi proteggere da armati». Secondo lei la conferenza di Londra sulla Somalia del 7 maggio avrà qualche effetto positivo? Si è par- lato di investimenti nell’esercito e nella polizia, ma per migliorare le condizioni di vita della gente si è promesso qualcosa? «Penso che la recente seconda conferenza di Londra sulla Somalia abbia mostrato che questo paese ha an- cora bisogno di un perseverante sostegno politico ed economico. Certamente la sicurezza merita la prio- rità. Ma non basta: bisogna che certi servizi, come la sanità, l’educazione, il lavoro siano pure soste- nuti e incoraggiati. La sicu- rezza con la pancia vuota non può andare molto lontano!». La carestia tra il 2010 e il 2012 avrebbe, secondo la Fao, ucciso 258.000 persone in Somalia, nella «quasi» totale indifferenza (salvo alcuni allarmi nel 2011). Secondo lei cosa oggi si dovrebbe fare? «Io non sono così pessimista. Per me non c’è stata una quasi totale indifferenza. Per noi che abbiamo vissuto questi anni difficili, la Somalia non era stata dimenti- cata. Ciò che ha frenato è stata la difficoltà a trovare delle soluzioni alla crisi somala. Era necessario af- frontare il problema non solo dal punto di vista uma- nitario o militare, ma anche e soprattutto dal punto di vista politico-istituzionale. Il dramma di tutte queste vite “perdute” è stato causato più che dalla siccità o altre calamità naturali, dalla mancanza di una istitu- zione statale. A me sembra che ultimamente ci si sia resi conto di tutto ciò». Come Amministratore apostolico quali sono i suoi programmi per la Chiesa in Somalia, e quali i suoi desiderata? «Incontrando recentemente il ministro degli Esteri somalo e altre autorità, ho espresso il desiderio di ria- prire una presenza “fisica” della Chiesa Cattolica in Somalia e in particolare a Mogadiscio, con la possibi- lità di un luogo di culto (si vedrà più avanti se si potrà riutilizzare la nostra cattedrale distrutta e occupata) e di esprimere più direttamente la nostra partecipa- zione all’azione umanitaria e allo sviluppo, penso in modo particolare attraverso la nostra Caritas». Marco Bello © Marco Procaccini
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