Missioni Consolata - Luglio 2013
44 MC LUGLIO 2013 OSSIER raggiunta una certa armonia con se stessi, un equili- brio che nei ritmi frenetici e nella rete del consumi- smo fine a se stesso, non avevamo trovato. Decre- scita indica per noi una crescita interiore e di atten- zione verso l’altro. In termini pratici abbiamo una macchina sola che usiamo il meno possibile per re- carci a Cuneo, accumulando più impegni, cinque gal- line per le uova, un orto per l’autoproduzione, il ri- scaldamento a legno con il camino e la stufa, un pan- nello solare e un’accuratissima raccolta differenziata su cui cerchiamo di sensibilizzare il più possibile i no- stri ospiti». La mattina seguente esce uno spiraglio di luce e Li- retta è allo scoperto. Il belvedere apre una finestra naturale sulle montagne, ancora leggermente inne- vate e dall’altura della borgata si intravedono i tetti di Cuneo. Tutto è in armonia. Entriamo nella cap- pella dove una vetrata è in perfetta simbiosi con la natura circostante; una piccola madonna bianca dalle grandi mani ci guarda da una nicchia e tre pic- cole finestrelle dipinte indicano una sorta di cam- mino verso l’ascensione. Una cura artistica si avverte ovunque, nelle fioriere multicolore, nei dipinti creati da Olga per le piastrelle dei bagni e nella gradevole stanza per i giochi dei bambini, realizzata apposita- mente per gli ospiti «in erba». Non possiamo che concludere la visita con uno sguardo più intenso verso il logo: «Un tetto amico, una casa rotonda perché senza spigoli e conflitti, tre sole finestre e nessuna porta. Perché a Liretta le porte sono sempre aperte per chiunque ne abbia bi- sogno». P er parlare con autenticità della decrescita, occorre sfatare un mito: decrescere non signi- fica andare a vivere in campagna e isolarsi tra gli elfi boschivi. Quello che si evince dalle inter- viste di questo dossier è che l’assioma decrescita- relazioni umane non si cura dello spazio ma inter- viene sul cambiamento più profondo delle persone. Da qualche anno è attiva un’associazione, Coabi- tare, che si occupa di fornire conoscenze, informa- zioni, idee e strumenti a chi desidera abitare in modo differente e decide di farlo non solo in am- bito rurale. Per strappare qualche curiosità in più sull’argomento siamo andati a visitare il co-housing «numero zero» a Torino in via Cottolengo n°4. Un antico edificio ristrutturato con tutti i crismi ecolo- gici ed estestici dove, da gennaio 2013, vivono otto nuclei familiari. Fioriere sui balconi e una pia- cevole galleria di biciclette parcheggiate all’en- trata ci accolgono. A raccontarci la scelta di una co–abitazione soli- dale sono Matteo Nobili, fisico e fotografo 36enne, e Chiara Mossetti, architetto 35enne. Vivere in- sieme ad altre persone: come nasce questa scelta e perché? Matteo inizia il racconto: «Sicuramente occorre essere propensi all’aggregazione. In un co-housing si condividono pensieri, ideologie e “saper fare”, ma ognuno mantiene la riservatezza del proprio alloggio. A noi interessava l’ambito ur- bano, sia per le nostre occupazioni lavorative e sia perché non concepivamo l’idea di abitar fuori e poi dover utilizzare la macchina quotidianamente con un’elevata produzione di CO 2 . La scelta del centro città è anche e soprattutto per potersi spostare li- beramente in bicicletta o a piedi». M entre parliamo del progetto, in uno degli otto appartamenti è in corso un simpatico pranzo comunitario. Oltre agli appartamenti privati, il condominio ha a disposizione uno spazioso ter- razzo, un laboratorio, un soggiorno e un’ampia sala semi interrata. La domanda sorge spontanea: come rientra la scelta di un co-housing nella decrescita? «Innanzitutto nel ridurre gli sprechi. Questo è alla base della scelta di una co-abitazione. Nel co-hou- sing «numero zero» ad esempio la scelta prepon- derante è stata quella di mantenere una metratura medio-piccola (circa 70 mq) per tutte le abitazioni ma di privilegiare l’ampiezza di alcuni spazi co- muni». Ma, in pratica, come si traduce quest’atten- zione verso i consumi? «La fortuna è stata avere un architetto e un ingegnere nel nostro gruppo che ci hanno permesso una ristrutturazione “secondo na- tura” e dall’estrema funzionalità. Non a caso rien- triamo nei canoni della bio edilizia e siamo in classe A. Sempre nell’ottica ambientalista, siamo provvisti di pannelli solari per l’acqua calda, integrati con una caldaia a condensazione e, in ogni appartamento, è presente il riscaldamento a pavimento che diffonde il calore e non comporta inutili dispersioni. Possiamo usare la metafora del dimezzare: noi siamo in otto nuclei famigliari con due grosse lavatrici a disposi- zione per tutti e quattro automobili. Una sorta di car- sharing tra coinquilini!». S birciamo con interesse gli interni delle abita- zioni. Seppure diverse per gusti e personalità, si contraddistinguono tutte per un buon gusto comune. E le travi di legno dei soffitti aiutano ad armonizzare il tutto. Nella fattispecie, le pareti di casa di Matteo e Chiara ricordano i colori del Mali e, infatti, non sono altro che una miscela naturale di argilla, sabbia e paglia. In co-housing numero zero abitano persone dai 30 ai 60 anni e, come ci spiega Chiara: «Fare una scelta simile non significa semplicemente farsi casa propria risparmiando un po’ ma deve includere tanta voglia di scambiarsi competenze. Se ho bisogno di un orlo ai pantaloni o di una buona ricetta in cucina, posso chiedere a Piera (che ha qualche anno in più di noi), mentre noi possiamo facilitarle la vita con i mezzi tecnolo- gici o i lavori più pesanti. C’è uno scambio paritario di talenti e di competenze ma non è tutto. Per viver bene occorre una buona dose di socialità: il più delle volte chi arriva prima a casa la sera, prepara cena per tutti in un’ottica di risparmio del tempo, quello liberato, e di condivisione». Ma il «bello» aiuta o è solo vanità? «Decrescere non significa imbruttirsi, anzi. La bellezza aiuta a vi- vere meglio e a trovare anche il giusto equilibrio in noi stessi e con gli altri». G.M. ESPERIENZE 2/ CO-HOUSING PER CON-DIVIDERE
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