Missioni Consolata - Luglio 2013
OSSIER PREMESSA PERCHÉ DECRESCITA? DI G ABRIELLA M ANCINI «Non cambierete mai niente lottando contro la realtà esistente. Cambierà qualcosa solo costruendo un nuovo modello che renderà quello esistente obsoleto». Buckminster Fuller 36 MC LUGLIO 2013 S e apriamo il vocabolario e cerchiamo «benessere», la definizione fa riferimento a: stato di buona salute fisica e psichica, felicità, senso di benessere interiore o prosperità eco- nomica, agiatezza. Per società del benessere si intende la nostra, quella occidentale, ca- ratterizzata da agiatezza collettiva e un elevato reddito pro capite. Ma siamo proprio si- curi che la bussola dello sviluppo e del benessere di una società continui a essere solo determinata dal Pil (Prodotto interno lordo)? Da queste considerazioni nasce e si sviluppa la teoria della decrescita che ne vede precursore l’eco- nomista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen in particolare per la sfera ecologica. I sostenitori della decrescita affermano che la crescita economica - intesa proprio come accrescimento costante del Pil - non porta a un maggior benessere e che il miglioramento delle condizioni di vita deve es- sere ottenuto non con l’aumento della produzione e del consumo di merci ma con il miglioramento dei rapporti sociali, umani, della qualità ambientale, della collettività e del tempo liberato. Le pa- role di Serge Latouche, principale teorico della corrente, ne sono lo specchio: «La decrescita non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di “acrescita” […]. D’altra parte si tratta proprio del- l’abbandono di una fede o di una religione (quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo). […] Siamo ancora in tempo per immaginare, serena- mente, un sistema basato su un’altra logica». Una decrescita che può essere felice solo se non è subita, se nasce da una scelta consapevole che, se sperimentata, dimostra di saper dare i suoi buoni frutti. Questa inchiesta svela che una nuova fetta di uma- nità si è già messa in cammino per «reinventare» un modo più critico e consapevole di esistere. Un percorso inverso, dove recuperare la manualità e le tradizioni può salvaguardare il proprio destino; dove essere liberi dai condizionamenti telematici senza risultare disinformati e operare scelte eco- compatibili come riciclare, riparare, autoprodurre non deve essere l’eccezione ma la regola per star meglio. Dove, lo spazio per esistere è uno spazio dettato dal dialogo e non dalla mercificazione dei rapporti. Dove quel «de», davanti al termine «cre- scita», non è svilente ma è la linfa vitale di un altro paradigma: quello della rinascita di un nuovo uma- nesimo e della riscoperta di un’economia basata sulla ragionevolezza.
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