Missioni Consolata - Luglio 2013
UN ESODO AL CONTRARIO Il compito dei cristiani e a maggior ragione della ge- rarchia non è quella di tramare per spartirsi il potere e l’economia, corrompendo e contrattando secondo reciproci interessi, ma unicamente quello di impedire che sia sperperata la ricchezza del creato e fare in modo che venga distribuita secondo giustizia perché a ciascuno non manchi il necessario e anche un po’ di superfluo. Nel 2010 in Italia, il governo nelle mani di Berlusconi e di Bossi che si fregiavano a ogni piè so- spinto di ispirarsi agli insegnamenti della Chiesa cat- tolica, regalò alla Libia 6 motovedette per pattugliare il mare contro gli immigrati e 5 miliardi per impedire che gli immigrati africani attraversassero il mare, ben sapendo che migliaia di persone sarebbero fatte mo- rire nel deserto libico. Se quei soldi fossero stati spesi per l’integrazione ne avrebbe beneficiato l’Italia e gli immigrati e avremmo costruito un ponte di civiltà verso l’Africa che invece piange i suoi figli. Il Signore della Bibbia gettava «nel mare cavallo e cavaliere» che opprimeva i poveri facendoli schiavi, sedicenti cri- stiani esercitano il potere per uccidere i poveri, amati da Dio, per una manciata di voti. Questa è la differenza: chi cerca il proprio interesse è «di questo mondo», chi sta dalla parte di chi non ha voce, chi si prende cura degli immigrati e li sfama, se- condo la logica del giudizio finale (cf Mat 25,31-46), viene «dall’alto». I primi trasformano la «Politica» in interesse, tornaconto, ingiustizia e, se cristiani, in peccato grave; i secondi invece mettono la «Politica» sul piano dell’Eucaristia e spezzano il Pane per tutte le genti come fece Gesù, come deve fare la Chiesa. I credenti non cercano cariche o incarichi o posti di rendita, ma consapevoli di essere nel mondo senza appartenere alle logiche e ai metodi del mondo, ac- cettano di immischiarsi nella politica, nell’economia, nella cultura, nel sociale per contribuire allo sviluppo della creazione dando corpo al mandato di Dio di cu- stodire il giardino di Eden e quanti vi abitano. Quando coloro che si definiscono sempre cristiani o credenti e poi, per anni, appoggiano governi e politi- che disumane, contrarie ai principi elementari della dottrina sociale della Chiesa, anzi diventano complici e còrrei di corrotti e corruttori, immorali e amorali, siamo non più nel Regno di Dio, ma nell’inferno di Sa- tana che istiga a fare affari, cadendo nella trappola dell’immoralità costitutiva. Sono quelli che papa Francesco, il 16 maggio 2013 ha definito «cristiani da salotto», per i quali il fine giustifica i mezzi. I cristiani, al contrario, «devono dare fastidio», come ha urlato lo stesso papa Francesco il giorno di Pentecoste ai gruppi ecclesiali provenienti da tutto il mondo in piazza san Pietro, il giorno 19 maggio 2013. Se il cri- stiano «non dà fastidio» a chi esercita il potere in nome della dignità dei poveri, inevitabilmente diventa complice del potere malvagio che appartiene a «que- sto mondo», il mondo per cui Gesù non ha pregato. Possiamo illuderci di pregare, svolazzando tra le nu- vole, ma se non ci coinvolgiamo, sulla terra, con il de- stino di chi è senza futuro e presente, possiamo es- sere spiritualisti e magari esserlo molto, ma non sa- remo mai persone spirituali perché non sapremo mai riconoscere i corpi dolenti dei Lazzari che popolano la terra (cf Lc 16,19-31). Qui è la vera chiave: è Lazzaro che fa la differenza tra Cesare e Gesù. A noi la scelta. (5 - continua con la prossima e ultima puntata) messe che esigono conseguenze coerenti. È la pro- spettiva stessa del potere che in Gesù si scontra con quella di qualsiasi altro potere che vuole essere «poli- tico». Con l’affermazione netta e inequivocabile: «La mia regalità non appartiene alla logica di “questo” mondo», Gesù pone un atto politico estremo perché stravolge il concetto di potere, di organizzazione, eco- nomia, relazione tra gli individui, senso dello stato. Egli non intende spiritualizzare il suo «regno», che tra l’altro deve instaurarsi anche sulla terra e coinvolgere l’umanità intera. E dal contesto non si può evincere la contrapposizione tra cielo e terra, tra spirituale e ma- teriale. Non significa che Gesù ci ha invitato a rivol- gerci alle «cose del cielo», come una certa mistica ha interpretato esulando dal testo; al contrario, egli c’in- vita a piantarci nel cuore degli eventi, a essere come il Lògos , «incarnati» nella vita e nella storia, piena di contraddizioni, e di starvi con criteri di discernimento «opposti» a quelli di Cesare e di chi esercita il potere. GESÙ IL POLITICO La prova di quanto affermiamo sta anche nella pre- ghiera al Padre del capitolo 17, dove Gesù stesso equipara i suoi discepoli a sé, perché, come lui, «sono nel mondo»: « 9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10 Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11 Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. 15 Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17 Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18 Come tu hai mandato me nel mondo, an- che io ho mandato loro nel mondo; 19 per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. 20 Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21 perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, per- ché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,9-20). L’espressione « non prego per il mondo » accentua la separazione dal mondo inteso come il complesso delle forze ostili al Regno di Dio, cioè il male (cf Gv 15,18). Non è un rifiuto degli uomini, o un disincar- narsi dall’umano, ma un rifiuto del «mondo» dell’in- giustizia e prevaricazione, del potere basato sulla forza e corruzione. In Gv (vangelo e lettere) il termine «mondo - kòsmos » ricorre circa 100x e ha almeno quattro significati (cf Gv 1,10-11): a) il mondo geografico, ambiente materiale; b) il mondo come umanità; c) il mondo dell’incredulità; d) il mondo della fede. La separazione tra trono e altare sta tutta nella dialet- tica «sono nel mondo... non sono del mondo», per cui si afferma la natura provvisoria della Chiesa e quindi la sua condizione di «sacramento», cioè di segnale, di indicatore stradale. Qui si fonda la teologia della na- tura «nomade» della Chiesa che per definizione e per vocazione non può non esprimere, nella storia, la pro- spettiva messa in evidenza dal concilio Vaticano II che descrive l’«indole escatologica della Chiesa peregri- nante e sua unione con la chiesa celeste» ( Lumen Gentium 48-51). L’indole sta a significare che la pere- grinazione non è un atteggiamento passeggero, ma uno stato costitutivo della natura dell’ ekklesìa . I cri- stiani non sono mandati nel mondo per gestire il po- tere perché più bravi o competenti, ma per servire il Regno di Dio, cioè per creare le condizioni affinché tutti i figli di Dio vivano in condizioni di figli e non siano ridotti a vivere da schiavi. 34 MC LUGLIO 2013 Così sta scritto
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