Missioni Consolata - Luglio 2013
tici...». Poi ha continuato: «Io non sono della stessa religione, ma non posso che restare ammirato di quello che vedo: si prendono cura di voi, dei vostri bambini e giovani; adesso vi hanno propo- sto questo radunarsi tra uomini: io ricordo le facce di alcuni di voi, quando avete avuto bisogno del medico perché vi avevano trovati ubriachi per strada» - e qui ha alzato il capo per la prima volta, dopo esser rimasto chino sulle braccia appoggiate pesante- mente su un angolo della scriva- nia. Lo sguardo non era di critica, ma di compassione. Nell’aria si sentiva che c’era in- tesa tra loro: «Quando ho var- cato lo spazio di questa staccio- nata ho visto che vi davate da fare con la neve e ho ricono- sciuto le vostre facce. Siete di- versi, ve ne rendete conto?». La frase, spezzettata varie volte, è finita in crescendo e in risposta si sono elevati altri «tkhhhh» e brevi cenni di assenso. «Se vo- lete, potremmo pensare di ve- derci qualche volta, per parlare di salute». Q uesta infatti era la mia pro- posta: invitare Amgaa e al- tri medici a parlare di temi legati alla salute, per offrire mo- menti formativi. L’idea è pia- ciuta; ma è piaciuto ancora di più il fatto di trovarsi insieme come uomini dignitosi, seduti compo- stamente al termine di una gior- nata di lavoro. Cosa che quasi nessuno ricordava di aver vis- suto di recente. Quando è squillato il telefono di Boldoo e lui ha risposto: «Aspetta, sono in riunione», un altro gli ha fatto il verso. Non erano abituati a sentirsi conside- rati. Poi Amgaa è ritornato sul loro cambiamento: «Io so cosa vuol dire avere in casa uno che beve. Mio padre ai tempi del comuni- smo era responsabile di una bri- gata di costruttori. Quando il si- stema è crollato chi aveva un po- sto come lui ha trovato il modo di accaparrarsi qualcosa, lui - che era molto onesto - no. Così in breve tempo si è trovato con l’ac- qua alla gola. È andato giù di morale e ha cominciato a bere». MONGOLIA 24 MC LUGLIO 2013 Il silenzio era palpabile; non c’era artificio nel discorso di Amgaa. Diceva sempre che «nella vita di un uomo prima o poi arriva il giorno in cui ti si apre la mente e capisci; per me quel giorno dev’essere arrivato quando avevo 17 anni. Ho visto le mie tre sorelle minori non man- giare nulla per 48 ore e mi son detto: non farò mai questo ai miei figli». Qualcuno aveva gli occhi lucidi; nessuno lo ha interrotto. «Mio padre poi si è ripreso; io sono an- dato all’università e sono diven- tato medico. Adesso che ho un bambino di tre anni mi accorgo che lui ripete tutto quello che faccio e dico. Bisogna che diamo un buon esempio ai nostri figli. I vostri figli e nipoti adesso sa- ranno contenti di vedervi così». È sembrato un passaggio di testimone. È stato Renchin, il più anziano, a prendere la parola: «Oggi è stato molto bello; abbiamo lavorato tutto il giorno, non c’è stato il tempo neanche di pensare a bere. Io per anni ho la- vorato al teatro di Arvaiheer come cantante stabile. Poi ho co- minciato a bere e mi hanno but- tato fuori. Dopo un po’ un cono- scente mi ha dato un’altra possi- bilità: andare a Ulaanbaatar, per entrare nel gruppo folkloristico di stato. Mi hanno preso subito. # Qui sopra : cappella a forma di gher e casa dei missionari ad Arvaiheer. # A destra : paesaggio invernale della Mongolia. # Pagina precedente : croce con co- lori e simboli mongoli per espri- mere la gioia della risurrezione.
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