Missioni Consolata - Maggio 2013

80 MC MAGGIO 2013 E come vi comportaste voi? Perpetua e Felicita: Alle domande che ci venivano ri- volte rispondevamo con libertà e franchezza, non te- mevamo affatto il confronto con i nostri persecutori. In alcuni momenti avevamo la sensazione quasi pal- pabile che a parlare non fossimo noi, ma prestavamo la nostra voce alle risposte che Gesù stesso dava ai nostri inquisitori. Scoprimmo quell’atteggiamento che va sotto il nome di «parresia», ovvero quella fran- chezza di linguaggio che ci permetteva di rispondere a testa alta e senza remore alle domande più subdole e ai tranelli più iniqui che i funzionari dell’impero ro- mano, ci tendevano. Come viveste la sentenza? Felicita: Nel momento in cui veniva pronunciata la condanna a morte che per noi fu applicata nel modo più orribile che si immaginasse a quei tempi, cioè tra- mite bestie feroci che ci avrebbero sbranati, il marito di Perpetua, che era ancora pagano, proruppe in alte grida invitandola a rinnegare la propria fede, ma la mia padrona, o meglio mia sorella nella fede, rimase ferma nel suo proposito di essere fedele al Signore Gesù e quindi, deposto tra le braccia del marito il suo bambino, si avviò tranquilla verso la gloria dei martiri. Perpetua: Dopo la sentenza, nei giorni passati in car- cere, in attesa che arrivasse una festa in cui ci fossero dei giochi e tra questi lo spettacolo orribile offerto alla folla di belve scatenate che si avventavano contro i cristiani, la mia cara Felicita partorì una creatura che fu affidata a una sua parente. Dopo alcuni giorni, te- nendoci per mano, insieme ad altri cristiani, cantando entrammo nell’arena. Lì, guardando con occhi solo umani, si sarebbe consumato il nostro sacrificio, che noi, invece, dal punto di vista della fede, considera- vamo l’incontro con il Signore Gesù, questa volta per rimane accanto a Lui per sempre. Perpetua durante il periodo del carcere mantenne un diario in cui annotò tutto quello che stava vivendo lei e la sua schiava Felicita, ma non poté narrare l’epilogo della loro vicenda. Altri cristiani che assistettero al loro mar- tirio scrissero, descrivendo gli ultimi istanti della loro vita, completando così la loro testimonianza di fede. Ciò che restò come documento scritto divenne un punto di forza e di edificazione. Dalla semplicità dello stile si co- glie una fede diamantina e un amore sconvolgente per Gesù, certezza assoluta dei primi martiri cristiani; c’è il coraggio e la fermezza con la quale seppero affrontare i patimenti e la morte nel nome di Cristo, che, gioverà ri- cordare, ha assicurato ai discepoli di ogni tempo, che i persecutori e gli aguzzini possono uccidere il corpo, ma non possono nulla contro le anime, le coscienze e gli ideali che essi incarnano. Le annotazioni di Perpetua fu- rono poi raccolte nella «Passione di Perpetua e Feli- cita», opera - si dice - di Tertulliano, padre della Chiesa d’Africa dei primi secoli, per essere consegnati alla me- moria futura delle generazioni cristiane. Don Mario Bandera Direttore Missio Novara modificato è il proprio cuore e la propria coscienza, per cui anche coloro che possiedono molto, sentono impellente e bruciante il bisogno di condividere i pro- pri beni con altri più sfortunati di loro. Come avvenne il vostro arresto? Perpetua e Felicita: Durante la persecuzione, scate- nata contro i cristiani dall’imperatore Settimio Se- vero, venne emanato un editto in cui ai governatori delle province veniva data la possibilità di «stanare» i cristiani, obbligandoli a bruciare incenso alla statua dell’imperatore, ritenuto dalla religione pagana un dio in terra. Questo per la nostra fede è inaccettabile, quindi fummo fatti sfilare davanti alle autorità ro- mane, le quali avevano messo un braciere acceso ai piedi della statua dell’imperatore e venimmo invitati a gettare un po’ di incenso nel fuoco, attestando così lo status di divinità dell’imperatore. Ovviamente noi ci rifiutammo e fummo arrestati. E che successe dopo? Perpetua e Felicita: Nella disgrazia fummo fortunate; in carcere c’erano dei cristiani che alimentavano in noi la speranza, non di essere esentati dai supplizi e dai tormenti, ma di incontrare presto il Signore nel suo Regno e di stare con lui per l’eternità. E siccome noi non avevamo completato l’iniziazione cristiana, essendo ancora dei catecumeni, con noi in carcere era finito anche Satiro, il nostro catechista, il quale prov- vide, nelle lunghe giornate in cui aspettavamo la sen- tenza, a completare la nostra formazione e a battez- zarci, offrendoci così quella grazia santificante e quella fortezza di spirito più che mai necessaria per affrontare quelle terribili prove che ci aspettavano. Quali erano le condizioni del carcere? Perpetua: Terribili! In ambienti angusti, con poca aria e luce a disposizione, erano rinchiuse molte persone, anche se tutti si mostravano gentili e disponibili verso di noi, in quanto io avevo il mio bambino ancora lat- tante con me, mentre Felicita contava i giorni che la separavano dal lieto evento della nascita di una crea- tura che aveva in grembo. Felicita: Pur essendo rinchiusi in celle umide e mal- sane e con numerosi compagni imprigionati come noi per la loro fede, la mia amatissima sorella Perpetua aveva delle visioni che prefiguravano la nostra entrata nel Regno dei Cieli dopo quella terribile prova, che è paragonabile a ciò che visse Gesù sul Calvario. E il processo come fu? Perpetua e Felicita: Fu una farsa, era già tutto stabi- lito. Gli atti dei nostri interrogatori sono una delle po- che pagine giunte sino a voi di come procedeva la giu- stizia romana verso coloro che considerava dei nemici. Agli inviti che i giudici facevano a noi affinché - vista la nostra condizione - abiurassimo la nostra fede e così ci salvassimo per rimanere accanto ai nostri figli, ri- spondevamo che alle nostre creature avrebbero pen- sato i nostri familiari, a noi premeva restare fedeli a Colui che ci aveva dato il vero senso di vivere, il signifi- cato di un’esistenza la cui fedeltà a Lui nel momento della morte ci avrebbe spalancato la porta del Regno dei Cieli. 4 chiacchiere con...

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