Missioni Consolata - Maggio 2013

7 del mattino, egli stesso ri- sponde al telefono». Poiché non mi conosceva, decisi di scrivergli una email per presentarmi. Mi ri- spose che aveva un calendario pieno di impegni, ma che sicura- mente avrebbe trovato il tempo. Concluse la email con le stesse parole che abbiamo sentito nel suo primo giorno di pontificato: «Per favore, ti chiedo di pregare per me». Ci incontrammo un po- meriggio nel suo ufficio per una mezz’ora. Con semplicità condi- videmmo molte cose in pochis- simo tempo. Poi mi accompagnò fino in strada e mi disse: «Grazie per essere venuto a trovarmi. Te ne sono veramente grato». Per quanto mi riguardava, gli dissi di apprezzare il fatto che offrisse una nuova immagine di arcive- scovo (era famoso perché a Bue- nos Aires viaggiava in autobus o in metropolitana e perché viveva in modo semplice), e i segnali che ci aveva regalato nel corso degli anni, soprattutto il Giovedì Santo quando usciva dalla catte- drale per lavare i piedi delle per- sone con Aids, degli anziani e delle donne in gravidanza. Credo che questo uscire dalla catte- drale sia stato il segno visibile della sua pastorale missionaria nella diocesi. Era la testimo- nianza di quello che voleva si vi- vesse come Chiesa a Buenos Ai- res. L’incontro mi segnò personal- mente. Tanto che, da due anni, nel vicariato affidatomi, il Gio- vedì Santo lasciamo la Catte- drale e andiamo a celebrare in altre comunità, in modo che tutti abbiano la possibilità di parteci- pare (il Vicariato di Ingwavuma, in Sudafrica, si estende su una superficie di più di 200 km di lunghezza). Ci rimane però ancora la sfida culturale di fare la celebrazione fuori dal tempio e con uomini e donne, giovani e vecchi... Un altro aspetto del cardinal Bergoglio che ho sempre tenuto ben presente è la sua disponibi- lità di cui avevo sentito e letto in qualche giornale: quando un sa- cerdote aveva bisogno di vederlo, il cardinale faceva l’impossibile per incontrarlo il giorno stesso senza farlo aspettare. In questi anni, sia nel Vicariato di Ingwa- vuma che nella Diocesi di Man- zini (Swaziland) ho sempre cer- cato di mantenere un atteggia- mento similare e ho insistito sul fatto che i sacerdoti non si preoccupassero di correre da un posto a un altro per incontrarmi, ma che, quando avessero avuto bisogno di me, sempre sarei stato disponibile. Qui il mio televisore riceve sol- tanto canali sudafricani e per di più il segnale non è buono. Gra- zie a Facebook ho appreso che era uscita la fumata bianca e grazie a Internet sono riuscito a seguire l’annuncio. È stata una grande sorpresa e una grande emozione. Forse perché è la prima volta che come vescovo ho incontrato il papa. Dopo l’elezione del papa il mio telefono non ha mai smesso di suonare e sono stato inondato di messaggi email , segno della grande gioia del popolo, sia in Sudafrica che in Swaziland. Tutti sono stati colpiti dal nome che il papa ha scelto (chi non co- nosce san Francisco d’Assisi?) e dai suoi primi gesti: la sempli- cità, l’aver mantenuto la croce pettorale e l’anello; l’essersi in- chinato davanti al popolo di Dio affinché questi in silenzio pre- gasse per Lui. Le sue parole, il cammino del popolo e del pastore compiuto assieme, il desiderio di costruire in comunione il futuro: parole e gesti che hanno toccato i cuori di molti e che sembrano ripetere ciò che è stato il suo servizio epi- scopale a Buenos Aires. Spero che il Papa possa conti- nuare a regalarci questi piccoli segnali che sono come il seme di senape, il quale, una volta pian- tato, produce molto frutto, per- ché essi parlano a tutti. Senza ri- guardo per l’età, il colore della pelle o la fede di ognuno. José Luis Ponce de León Missionario della Consolata argen- tino, Vicario Apostolico di Ingwavuma, Sudafrica. 10 MC MAGGIO 2013 VATICANO © AFP Photo/Alberto Pizzoli

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