Missioni Consolata - Aprile 2013
Cosa cambiò la tua visione di vita dopo aver preso cono- scienza della nuova realtà? Durante una messa celebrata sull’isola di Hispaniola nel di- cembre 1511, il frate domeni- cano Antonio Montesinos pro- nunciò un vibrante sermone in difesa della vita e dei diritti de- gli indios. La sua omelia era il risultato della riflessione e del- l’impegno di una piccola comu- nità domenicana, presente da poco tempo sull’isola; una co- munità che si era lasciata inter- rogare dalla realtà drammatica in cui viveva e che aveva trovato il coraggio di denunciare il comportamento dei conquista- dores . Ne rimasi affascinato e colpito! Fu lì che ebbe inizio la tua conversione? Direi proprio di sì! Anzi, dirò di più: il sermone di fra’ Montesinos, in quella terra appena conquistata dagli spagnoli, ha avviato un processo importante che ha attraversato i secoli. Da quel giorno nell’Ordine Do- menicano è nata una riflessione in cui la figura del- l’indigeno veniva vista in maniera diversa, un cambio di prospettiva che con il tempo creò addirittura le basi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Che effetto fecero su di te quelle parole? Presi coscienza che non potevo sfruttare gli indigeni, gente che fino a pochi anni prima viveva libera sulla propria terra e che solo alcuni decenni dopo era as- soggettata al volere dei nuovi arrivati. Vedevo sempre più deperire gli indigeni, ammalarsi e, quello che è peggio, perdere qualsiasi prospettiva per il futuro con un minimo di speranza per la vita loro e per i loro figli. Tornai in Europa, entrai nell’Ordine dei Domenicani, dove nel 1507 venni ordinato sacerdote di Cristo. Però in Europa non sei rimasto a lungo. Dopo alcuni anni ritornai nelle Americhe; in quel pe- riodo viaggiai molto: Guatemala, Nicaragua, Cuba, Da parte mia c’è un po’ di sog- gezione di fronte a una per- sona così carismatica, ma allo stesso tempo sono ansioso di porti alcune domande. Innan- zitutto presentati ai nostri lettori. Sono nato a Siviglia nel 1484. Mio padre e mio zio avevano partecipato alla seconda spedizione di Cri- stoforo Colombo nel 1493. Nel 1502, all’età di 18 anni, misi piede per la prima volta in America, sull’isola di Hispaniola (l’attuale Santo Do- mingo) al seguito del governatore Nicolás de Ovando. A partire dal 1505 mi fu assegnato in enco- mienda un certo numero di indios che lavoravano per me nelle mi- niere e nelle terre, facendo prospe- rare i miei affari. Parli di «encomienda»: per noi del XXI secolo è un termine non facile da capire fino in fondo. Di che cosa si trattava? L’ encomienda coloniale, che in italiano si può tradurre con «incarico», consisteva nell’affidare a degli enco- menderos , cioè a noi spagnoli, determinati territori abitati da un gruppo di indigeni con lo scopo di ren- dere fruttuosa la terra con le nuove tecniche agricole. Gli indigeni dovevano quindi lavorare (gratis) per noi che avevamo l’obbligo di colonizzarli e cristianizzarli. L’ encomienda fu quindi una geniale istituzione che permise alla Corona di Spagna di consolidare la colo- nizzazione dei nuovi territori, attraverso l’assoggetta- mento fisico, morale e religioso delle popolazioni pre- colombiane. Quindi il tuo andare nelle terre appena sco- perte non era legato a motivi prettamente re- ligiosi come portare alla fede gli indigeni e diffondere il Vangelo? Niente affatto. Partii per le Americhe con l’idea di far fortuna e rimpinguare il patrimonio di famiglia, assot- tigliatosi per una serie di disavventure familiari. APRILE 2013 MC 79 a cura di Mario Bandera 4 chiacchiere con... MC RUBRICHE 10. BARTOLOMÉ DE LAS CASAS Bartolomé De Las Casas (1484 - 1566) una delle figure più rappresentative dell’opera evangeliz- zatrice e di difesa degli indios del continente scoperto (o conquistato?) da Cristoforo Colombo, ha accettato di colloquiare con noi sulla sua vita avventurosa e suggestiva.
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