Missioni Consolata - Aprile 2013
48 MC APRILE 2013 OSSIER Vivevamo in due alloggi nello stesso condominio, nella zona est di Ulaanbaatar. Fu spontaneo impo- stare i ritmi quotidiani su alcuni appuntamenti fissi condivisi: preghiera, pasti preparati a turno, incontri di formazione e valutazione. Nascevano momenti di condivisione spontanea, vitali per persone che, pro- venienti da paesi diversi e con alle spalle esperienze di missione piuttosto eterogenee, dovevano imparare a orientarsi in un mondo del tutto nuovo e piuttosto insolito. Allora forse non lo sapevamo, ma si stava de- finendo uno stile che avrebbe poi caratterizzato que- sta missione: la fraternità vera, declinata al maschile e al femminile, e che supera la semplice «collabora- zione», per diventare spirito di famiglia, responsabi- lità condivisa nelle scelte, esperienza di crescita umana e spirituale. Qualcuno tra i missionari di altre congregazioni già sul campo si stupì che non fossimo arrivati con un progetto già ben definito, magari una scuola o un centro di salute: «E poi cosa farete? Di che cosa vi oc- cuperete?» era la domanda più ricorrente. Ma fu pro- prio questa libertà da schemi predefiniti che ci per- mise di metterci in atteggiamento di attenzione e di- scernimento di quale fosse la volontà di Dio per noi. ALCUNE SCELTE IMPORTANTI Nel frattempo mons. Padilla era stato ordinato ve- scovo e la piccola chiesa locale provava a darsi una prima organizzazione ufficiale. Negli anni a seguire avremmo poi offerto un contributo determinante in questo processo, al punto che uno di noi, padre Erne- sto Viscardi, è oggi Prefetto delegato, ossia vicario generale del vescovo. Ciò che diventava gradual- mente più chiaro era la necessità di spingerci al di fuori della capitale, fino ad allora unico vero campo di apostolato della Chiesa. In questo enorme Paese, grande 5 volte l’Italia, la Chiesa non aveva alcuna presenza stabile in zone rurali o nei centri delle 21 re- gioni amministrative, eccetto un asilo infantile nella città settentrionale di Erdenet. Anche in questo caso non ricevemmo «ricette già pronte»; il vescovo ci invitò a guardarci attorno, a esplorare il khudoo , l’immensa campagna mongola. Durante le vacanze dalla scuola di lingua, in inverno e in estate, organizzammo viaggi con fuori strada presi a noleggio e visitammo almeno 10 regioni, quelle che ritenemmo più realistico prendere in con- siderazione, situate in un raggio di 400-600 chilome- tri dal centro. A ogni viaggio seguiva un incontro di valutazione, finché nel 2006 giungemmo alla scelta di Uvurkhangai, nel suo capoluogo di Arvaiheer. Con la presenza ad Arvaiheer si avviò una nuova fase: l’inserimento diretto nel vissuto di una comu- nità. Non avevamo precedenti. Si dovettero ottenere i permessi da parte dell’autorità locale. In Mongolia infatti, benché la costituzione riconosca la libertà di culto, l’esercizio di attività religiose è strettamente regolamentato da una serie di restrizioni. Eravamo gli unici stranieri stabilmente residenti nella citta- dina. Bisognava tessere reti di relazioni amichevoli con persone di vari ambienti e provenienze. Tale situazione ci fece capire concretamente che l’annuncio evangelico deve necessariamente pren- dere carne nella persona degli annunciatori, accet- tando la gradualità e i condizionamenti di qualsiasi relazione autenticamente umana; dovevamo ren- derci conto di essere «pellegrini e ospiti» e quindi di- pendenti anche noi dall’accettazione degli altri. Nacquero piccole iniziative di avvicinamento alla vita del paese: collaborazioni in progetti di sviluppo lan- ciati dagli enti locali, insegnamento dell’inglese, vo- lontariato in un asilo. E intanto ci chiedevamo che forma potesse eventualmente prendere la nostra presenza, qualora ci avessero dato il permesso. Il go- verno regionale si pronunciò a favore, dandoci come una chance per verificare se davvero valeva la pena lasciarci operare nella loro giurisdizione. Un pezzo dopo l’altro si veniva componendo un mosaico, che capimmo solo dopo: ci diedero in uso un terreno a ri- dosso della strada statale, all’ingresso del paese; po- chi mesi dopo cambiarono idea e finimmo dove sorge ora la missione: una zona periferica e piuttosto iso- lata, ma che si sta progressivamente popolando. Poi la grande gher della cappella e quella del doposcuola (2007), il centro missionario in muratura (2008), il locale per le docce pubbliche (2010) e infine gli spazi per gli incontri e l’ospitalità (2012). Il frutto più bello di questo cammino è la nascita della piccola comunità cristiana, fatta di persone che dalla curiosità sono passate alla ricerca e infine al ca- tecumenato e al battesimo. Il 17 giugno il vescovo l’ha elevata a parrocchia, dedicandola a «Maria, Madre di Misericordia». E così abbiamo scoperto quanto sia Padri e suore attorno al pilone della Consolata di Arvai- heer. A partire da sinistra: Daniele Giolitti, Giorgio Ma- rengo, Charles Karoki, Esperanza Medina, Lucia Bortolo- masi, mons. Padilla, Simona Brambilla (madre generale in visita), Peter Turrone, Cecilia Pedrosa (consigliera gene- rale in visita), Sandra Garay, Giovanna Maria Villa, Ger- trudes Vitorino, Omaira Morales, Ernesto Viscardi. Pagina accanto : cappella a forma di gher della missione di Arvaiheer. Sotto : padre Ernesto Viscardi concelebra con mons. Padilla e benedice i catecumeni.
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