Missioni Consolata - Aprile 2013

morale. Infatti, gli interessati capiscono subito: «Ave- vano capito che aveva detto quella parabola contro di loro» (Mc 12,12). A questo punto, non si può andare tanto per il sottile, perché uno che mette in difficoltà il sommo sacerdote, che costringe all’angolo i membri del sinedrio, che contesta la loro autorità e mette in dubbio la loro moralità di trafficanti con il denaro im- mondo, non può restare libero. È un pericolo per l’isti- tuzione religiosa che si sente screditata. L’autorità non si può discutere, perché s’indebolisce e si delegit- tima. I capi religiosi vogliono però umiliare Gesù a ogni co- sto; per loro la questione delle tasse è strumentale, perché il loro vero obiettivo è il complotto per mettere Gesù fuori gioco, in modo definitivo. Il clima da servizi segreti con spie e travestimenti è descritto da Luca 20,20, in modo impressionante e preciso: «Si misero a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore». È il metodo del tranello e del fango, dell’inganno, della manipolazione della verità e realtà. C’è lo spio- naggio che significa una scelta cosciente: pur di rag- giungere il fine qualsiasi mezzo è lecito . L’atteggia- mento e la perversione dei capi religiosi ha fatto scuola nella storia fino ai nostri giorni anche nella Chiesa. Un papa che si dimette, come Benedetto XVI, perché non è stato in grado di fermare «individualismi e rivalità» che hanno generato «le divisioni che detur- pano la Chiesa», come egli stesso ha ammesso ( Ome- lia delle ceneri , 13 febbraio 2013, in San Pietro), met- tono in luce che, quando prende il sopravvento la reli- gione d’interesse, gravi sono le conseguenze sul piano della fede; possono arrivare anche a produrre le dimissioni come ipotesi di soluzione del conflitto. LA RISPOSTA DI GESÙ: LA COERENZA NELLA VERITÀ Gesù sventa il tranello e va alla radice della que- stione. Chiedendo retoricamente di chi è l’«imma- gine», come se lui non lo sapesse, sposta la rifles- sione sul problema radicale: quale autorità governa su Israele? In altre parole, più esplicite: chi è il «Dio» di Israele? È il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, oppure è il «divino Cesare», imperatore di Roma? Tutti, al tempo di Gesù sapevano che gli imperatori romani, come qualsiasi altro potente, facevano impri- mere la propria effige sulle monete di metallo per due motivi di ordine pratico. In un tempo senza macchine fotografiche e senza tv, un modo per farsi riconoscere era la divulgazione dei lineamenti imperiali su tutto il regno. Il secondo motivo, più politico, era di affermare la propria autorità sui propri sudditi, perché chiunque avesse usato la moneta con l’effige, di fatto ne ricono- sceva la legittimità e quindi si sottometteva alla sua autorità giuridica e fiscale. I capi religiosi che avrebbero dovuto guidare il popolo, il cui re è il Dio d’Israele (cf Sal 144/143,15), invece, ri- conoscono l’autorità di un imperatore che non può go- dere di alcun diritto di governo su Israele. In questo modo essi conducono il popolo nella schiavitù di un pagano e straniero, usurpatore della legittimità di Dio. Essi sono responsabili della decadenza religiosa e della devianza etica del loro popolo perché confon- dono Dio con Cesare. (continua - 2) LE PAROLE HANNO UN SENSO OLTRE LE APPARENZE La parola « toínyn », in greco è una congiunzione coor- dinante consecutiva o conclusiva (cf Blass-Debrunner §451,9) e per questo traduciamo in modo da dare alla risposta un tono definitivo e conclusivo. In questo modo, Gesù afferma che con la loro risposta sono essi stessi a darsi la risposta. Gesù si limita a trarre la conclusione logica e coerente di quanto affermato da loro. In altre parole, la risposta di Gesù non è una sua conclusione, ma quella cui essi stessi obbligano con il loro agire e con il loro pensare. Per la restituzione ( restituite ), l’evangelista usa il tempo imperativo aoristo « apòdote » che indica un’a- zione compiuta in se stessa, avulsa dal tempo. Non può avvenire a rate o a spizzichi perché non lascia spazio per un tempo di riflessione. Deve essere un fatto unico, conseguenza di una decisione e di una conversione radicale: «Restituite una volta per tutte». Infine, l’espressione «le cose di Cesare» ha il genitivo di origine o di appartenenza (Blass-Debrunner §162,9 e § 266, 5a): le cose in generale, qui la moneta, che sono «già» proprietà di Cesare. In altre parole Gesù dice che il possesso della moneta romana da parte dei Giudei è illegittimo, per cui restituirla al proprieta- rio significa restaurare l’ordine della legittimità e della verità. La questione non riguarda le tasse, come volevano gli scribi; Gesù sposta la discussione sul possesso della moneta, da parte di chi professa una religione che im- pone il divieto assoluto delle immagini della divinità. Questo divieto è così grave che viene codificato addi- rittura nel comandamento (Es 20,3). Poiché l’impera- tore si considera «dio», è grave che la sua moneta, la sua «insegna», si trovi nelle mani di chi si appella al Dio di Mosè. Si direbbe che l’autore usi la struttura della lingua greca per affermare con più forza il senso del pen- siero che vuole esprimere. È straordinario come Gesù non si fermi mai alle apparenze, ma obblighi ad an- dare al cuore della questione. I farisei e i capi dei sa- cerdoti pensavano di metterlo in imbarazzo; invece, si ritrovano davanti a loro stessi, alla loro superficialità o, ancora più grave, alla loro religione di finzione, per- ché parlano in nome di Dio, ma ne disattendono i co- mandamenti. CONTESTO PROSSIMO: IL COMPLOTTO Non è sufficiente, però, tradurre le parole del vangelo, bisogna anche collocarle nel contesto immediato e prossimo, se vogliamo afferrarne il senso profondo. È quello che facciamo, osservandolo da vicino. Il capitolo 20 di Luca si apre con due polemiche fortis- sime: - Lc 20,1-8: Gesù si oppone ai «capi dei sacerdoti e gli scribi con gli anziani» (v. 1) che pretendono di limitare la sua autorità; Gesù li mette all’angolo con una do- manda trabocchetto: il Battesimo di Giovanni viene da Dio o dagli uomini? Se rispondono che viene da Gio- vanni, corrono il rischio che la folla si ribelli, perché Giovanni aveva la fama di profeta; se rispondono da Dio, si autoaccuserebbero perché non gli hanno cre- duto. Non hanno più alibi. In questo modo Gesù rag- giunge il suo obiettivo: li mette alle strette e con le spalle al muro. Infatti, essi si rifiutano di rispondere perché non possono. - Lc 20,9-19: la parabola dei contadini omicidi obbliga gli uditori a trarre le conclusioni, o come si dice, la 34 MC APRILE 2013 Così sta scritto

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