Missioni Consolata - Aprile 2013
TIGANIA, KENYA, 1969 Scopro il valore inestimabile delle cure chirurgiche di base in Africa. La tempestività e l’effica- cia della chirurgia di urgenza, la sua capacità di essere inderoga- bilmente definitiva hanno del mi- racoloso. È un lampo che mi cambia la vita. Mi invento la de- cisione di fare della chirurgia per i paesi a basso reddito l’asse portante della mia attività pro- fessionale, della cura del povero del Terzo Mondo il tema della mia vita. È anche il rifiuto di una vita incanalata, garantita, assi- curata, sempre uguale, a favore di un mestiere che ti sfida, ti preoccupa e ti tiene costante- mente impegnato. «Che le tue mani aiutino il volo, ma non si permettano mai di so- stituire le ali» invitava Helder Camara, l’arcivescovo brasiliano precursore della Teologia della Liberazione. Mai l’aspetto tec- nico sacrifichi la relazione per- sonale e la dimensione ideale dell’agire. Scopro la preghiera del chirurgo inglese, per avere «gentilezza nelle mani, intelli- genza nella mente, simpatia nel cuore, che sappia fare onore al mio lavoro che guarisce». La preoccupazione che la dimen- sione tecnica non prevalga su quella personale e sociale ri- guarda non soltanto il lavoro chi- rurgico, ma tutta l’attività di coo- perazione. I tre elementi perso- nale, ideale e tecnico non hanno senso se non sono in sinergia fra loro. La dignità delle persone non è mai negoziabile. Il rispetto del malato non am- mette eccezioni, è un imperativo etico assoluto. La chirurgia sul campo, in particolare in Sud Su- dan, sarà il filo conduttore del mio impegno di medico in Africa. Il volontariato medico nei paesi poveri regala momenti di vera serenità, di pace piena con se stessi e con gli altri. Paiono APRILE 2013 MC 27 MC ARTICOLI D opo tanti anni nella me- moria rimane indelebile il ricordo dei «miei malati», un’antologia di tenere im- magini imbevuta di compassione, un diario visivo di ritratti intensi. Sono esistenze che non si rie- scono ad archiviare. Le loro sof- ferenze ti penetrano. È una com- passione che nasce dal privilegio della condivisione diretta. Il tema del «malato povero» è intrecciato con un’altra condizione precaria e un’altra sofferenza, quella della chirurgia «povera». Tale secondo attore non è il protago- nista, è subalterno al primo, non ha vita propria, vive per il malato, da lui riceve la tensione emotiva che gli è essenziale e gli dà senso. È una seconda proiezione diversa e sovrapposta alla prima, quella dei malati, una doppia ot- tica. Il Sud Sudan ha un fascino misterioso che gli deriva dai suoi forti contrasti: il senso della di- gnità delle persone e la loro po- vertà estrema, le siccità e le piogge furiose, le grandi mandrie e le carestie, l’amore per i bam- bini e gli orrori della guerra. Sta di fatto che il Sudan è teatro di molti ricordi perché è diventato «casa mia» e la sua gente è «la mia gente». Si racconta [in que- sto libro], fra l’altro, di perso- naggi, episodi e «missioni sul campo», nella speranza di ren- dere più comprensibile la testi- monianza di questi due mondi in- trecciati l’uno all’altro: il mondo dei poveri, abisso di sofferenze e di umiliazioni, ma anche rete di vite umane bellissime e piene di dignità, e il mondo in crisi della cooperazione internazionale, in- garbugliato e pieno di contraddi- zioni, ma colmo di sacrifici per- sonali. # Pagina a fianco : il dottor Meo a Bunagok, in Sud Sudan, dopo un’operazione. # A fianco : ospedale di Turalei in Sud Sudan. # Qui sotto : alcuni pazienti del dot- tor Meo a Gordhim, Sud Sudan. © Archivio CCM © Archivio CCM
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